I produttori cinesi stanno cercando nuovi mercati per assorbire almeno una parte delle vendite perse a causa dei dazi statunitensi.
Mentre l’opinione pubblica occidentale si chiede ancora se valga la pena “staccarsi” dalla Cina, praticando quello che viene definito decoupling, Pechino ha già deciso di praticare uno smarcamento silenzioso dagli Stati Uniti. Oltre la Muraglia non lo chiamano né derisking, né decoupling: fanno semplicemente notare la pericolosità, l’inadeguatezza, il rischio di continuare a puntare solo e soltanto sui ricchi mercati dell’Occidente.
Non ha più senso farlo, o almeno, non ha più senso considerare quest’opzione la prima scelta in un contesto di crescenti tensioni geopolitiche. Non è un caso che i produttori cinesi stiano correndo per trovare acquirenti, in patria e all’estero, in grado di sostituire, almeno parzialmente, il loro più grande mercato di esportazione: quello statunitense.
I dati commerciali pubblicati dal Dragone dopo l’annuncio, ad aprile, dei super dazi di Donald Trump sul Made in China hanno mostrato un aumento delle esportazioni cinesi verso i mercati alternativi, mete che dovrebbero in parte ammortizzare il calo delle spedizioni dirette negli Stati Uniti. Lo scorso maggio, per esempio, il valore delle esportazioni cinesi verso l’Europa è aumentato del 12% su base annua (in Germania +22%) mentre quelle verso i Paesi del Sud-est asiatico del 15%. [...]
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