Licenziamento per aumentare profitto e redditività: testo ufficiale sentenza della Cassazione

Francesco Oliva

2 Gennaio 2017 - 08:37

E’ ammissibile il licenziamento per aumentare il profitto e la redditività aziendale? Ecco cosa si legge nella storica sentenza della Corte di Cassazione numero 25201/2016.

Licenziamento per aumentare profitto e redditività: testo ufficiale sentenza della Cassazione

Si può licenziare per aumentare il profitto e la redditività aziendale? A quanto pare si, ma entro certi limiti. Questo è quello che si apprende alla luce dei principi di diritto statuiti dalla recente sentenza numero 25201/2016 della Corte di Cassazione.

La pronuncia della Corte di Cassazione interviene sul giudizio di secondo grado della Corte d’Appello di Firenze del 29 maggio 2015 che, capovolgendo la sentenza di primo grado, ha ritenuto illegittimo il licenziamento del dirigente di un resort di lusso per giustificato motivo oggettivo. La Corte di Cassazione ha invece cassato la sentenza di secondo grando, confermando la legittimità del licenziamento.

Ovviamente si tratta di una sentenza che non fa stare tranquilli i lavoratori dipendenti, già fortemente condizionati dalle minori tutele causate dall’introduzione del Jobs Act. Tuttavia, occorre subito sottolineare come la Corte di Cassazione si sia resa protagonista - almeno negli ultimi 15 anni - di una serie di sentenze altalenanti in materia di licenziamento legittimo e conseguente individuazione di cause oggettive. Allo stesso tempo evidenziamo un aspetto sottovalutato nei commenti allarmati alla sentenza della Cassazione. Il principio del giustificato motivo oggettivo applicato al licenziamento ha sempre fatto riferimento al profitto dell’impresa (che poi rappresenta il fine stesso dell’azione imprenditoriale). Di conseguenza, i licenziamenti economici mirano sempre e comunque al ripristino delle migliori condizioni di economicità aziendale, ancorché sino ad oggi con esclusivo riferimento alle aziende in crisi e non anche a quelle in bonis.

Vediamo cosa afferma nel merito la storica sentenza numero 25201/2016 della Corte di Cassazione.

E’ possibile licenziare per aumentare efficienza dell’organizzazione aziendale, profitto e redditività? Ecco il testo ufficiale della sentenza numero 25201/2016 della Corte di Cassazione:

Licenziamento legittimo per aumentare efficienza organizzazione aziendale, profitto e redditività
Cliccando sull’icona è possibile eseguire il download del testo ufficiale con la storica sentenza numero 25201/2016 con cui la Corte di Cassazione ha ammesso la legittimità del licenziamento per aumentare l’efficienza dell’organizzazione aziendale, il profitto e la redditività

Licenziamento per giustificato motivo oggettivo anche in caso di ricerca di maggiori profitti? Si, ma fino ad un certo punto

E’ chiaro che la sentenza numero 25201/2016 con cui la Corte di Cassazione ha ammesso la legittimità del licenziamento per incrementare profitto e redditività aziendale preoccupi i lavoratori dipendenti. Si tratta di una categoria già fortemente indebolita dall’introduzione del Jobs Act, con la conseguente riforma (ed indebolimento) della tutela dal licenziamento.

Tuttavia, nella fattispecie, il principio enunciato dalla Corte di Cassazione non è una novità assoluta. In effetti, nella sentenza in oggetto non si afferma che l’aumento del profitto, in quanto tale, consenta di giustificare il licenziamento di un lavoratore dipendente. Il giustificato motivo oggettivo deve essere individuato, invece, nel nesso sistemico per effetto del quale da quel licenziamento derivano nell’ordine:

1) un miglioramento della struttura organizzativa aziendale;
2) l’eliminazione di un costo improduttivo;
3) il conseguente aumento della redditività aziendale.

Allora qual è il motivo per cui la sentenza della Cassazione sul licenziamento legittimo per aumentare profitto e redditività sta facendo così tanto discutere?

La questione è di tecnica giuridica.

Licenziamento per giustificato motivo in caso aumento profitto e redditività? Basta ai giudizi di merito

La Corte di Cassazione esalta, azzarderemmo dire che quasi “enfatizza”, i principi sanciti dall’articolo 41 della Costituzione in materia di libertà dell’iniziativa economica privata.

Ma la parte della sentenza che preoccupa maggiormente i lavoratori è quella sui giudizi di merito di cui all’articolo 30, comma 1, della legge 183 del 2010 (il cosiddetto “Collegato lavoro”).

Qui si legge che:

in tutti i casi nei quali le disposizioni di legge nelle materie del lavoro privato e pubblico contengano clausole generali, ivi comprese le norme in tema di (…) recesso, il controllo giudiziale è limitato esclusivamente, in conformità ai principi generali dell’ordinamento, all’accertamento del presupposto di legittimità e non può essere esteso al sindacato di merito sulle valutazioni tecniche, organizzative e produttive che competono al datore di lavoro

In altre parole, l’imprenditore è libero di organizzarsi come meglio crede, anche licenziando quella parte di lavoratori che non produce più benefici economici per l’azienda.

Quindi la sentenza della Cassazione fa vacillare lo storico principio per cui il licenziamento è sempre l’estrema ratio, pur prevedendo che il datore di lavoro debba provare che la soppressione del posto di lavoro sia necessaria per il miglioramento della vita aziendale (secondo il processo sopra illustrato).

A questo punto sarà interessante comprendere come questo particolare orientamento giurisprudenziale si evolverà nei prossimi mesi, anche e soprattutto dopo la completa attuazione del Jobs Act.

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