Qual è il percorso dell’Italia contro la violenza sulle donne? Ecco le leggi e le proposte attive oggi per il contrasto alla violenza di genere.
Il 25 novembre, nella Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, è lecito domandarsi a che punto è l’Italia con la prevenzione, l’educazione e la punizione di reati di genere. La verità triste è che molti reati riconosciuti in altri Paesi, in Italia ancora non riescono a essere configurati in maniera da punire chiaramente l’abuser. Fin troppo spesso, infatti, si sentono giudici dare sentenze di innocenza o pene irrisorie a fronte di reati che vanno a ledere la persona da un punto di vista psicologico, oltre che fisico.
Negli ultimi anni tuttavia, anche grazie alla crescente attenzione pubblica e istituzionale, alcune di queste criticità sono state riconosciute esplicitamente dallo Stato, che ha avviato processi di revisione normativa e raccolta dati più rigorosi. Ma non è abbastanza.
Ogni nuova sentenza di questo stampo, che potremmo definire “patriarcale”, è sintomatica di una cultura dello stupro, dove sono normalizzati pregiudizi come aver provocato attraverso un abito, l’aver bevuto o aver accettato un incontro sessuale per poi non rinnovare il consenso.
Proprio a partire dalla parola “consenso” andrebbe costruita una rivoluzione socioculturale. A oggi l’articolo 609 bis del Codice Penale, ossia quello che regola i casi di violenza sessuale, prevede un’ampia interpretazione del termine consenso. Tale parola, che sta alla base del riconoscimento di una violenza sessuale, si presta facilmente a interpretazioni sessiste e misogine.
Simili pregiudizi attenuano la punibilità anche in casi di reati con esiti più tragici, come un femminicidio. Tra le scusanti utilizzate, e spesso ben alimentate da una narrazione mediatica che attua una vittimizzazione secondaria, troviamo la riduzione degli atti di violenza per lite familiare, la gelosia intesa come “troppo amore” e infine il raptus, che giustifica una richiesta di momentanea infermità mentale.
Le più recenti linee guida del CSM, pubblicate nel 2024, hanno sottolineato l’esigenza di evitare narrazioni giudiziarie minimizzanti e di riconoscere il carattere strutturale della violenza maschile contro le donne.
Ma quindi cosa rischia davvero chi commette un reato iscrivibile nelle violenze di genere in Italia? A definirlo sono le leggi e le proposte che i governi anno dopo anno hanno confermato.
Leggi contro la violenza di genere: il percorso dell’Italia
Come ricorda Pagella Politica, dal 2013 ad oggi i governi e il Parlamento hanno approvato in media quasi un provvedimento all’anno per contrastare la violenza sulle donne. Giorgia Meloni su Facebook ha scritto che “ogni singola donna uccisa perché colpevole di essere libera è un’aberrazione che non può essere tollerata e che mi spinge a proseguire nella strada intrapresa per fermare questa barbarie”.
Dal femminicidio di Giulia Cecchetti in a oggi, abbiamo ripercorso diverse tappe del governo Meloni come il taglio del 70% dei fondi al contrasto e alle politiche contro la violenza di genere, fino alle proposte che risultano poco efficienti del Ministro Valditara e Nordio. Abbiamo anche introdotto, senza scendere nello specifico, il ddl Roccella convertito in legge.
Qual è la strada intrapresa dal governo Meloni? Forse sarebbe meglio dire il percorso intrapreso negli ultimi 10-12 anni dei vari governi, iniziato nel 2013. Infatti il 2013 è l’anno in cui l’Italia ha ratificato la Convenzione di Istanbul e si è impegnata nella prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne.
A pochi mesi di distanza, infatti, il governo Letta ha approvato un decreto legge ribattezzato proprio “Legge sul femminicidio”, che ha modificato le norme sui maltrattamenti familiari e introdotto aggravanti per reati commessi da partner ed ex partner.
Dopo oltre dieci anni, il GREVIO (organismo di monitoraggio della Convenzione) ha pubblicato nel 2024 un nuovo rapporto sull’Italia, riconoscendo i progressi normativi ma segnalando lacune nell’applicazione delle misure di protezione e nella distribuzione dei fondi ai centri antiviolenza.
Piani antiviolenza: le quattro P
Nel 2015 sono stati avviati i “Piani nazionali sulla violenza maschile contro le donne”, più noti come Piani antiviolenza. Questi erano strutturati in quattro ambiti, che prendevano spunto dalla Convenzione di Istanbul, ovvero le quattro P: prevenzione, protezione sostegno, perseguire e punire, assistenza e promozione. Ognuna di queste P richiede interventi e finanziamenti.
L’ultimo Piano nazionale (2024–2026) ha ampliato gli obiettivi includendo una migliore raccolta dati, un rafforzamento dei servizi territoriali e una formazione più stringente per le forze dell’ordine.
Il Codice Rosso: cosa ha cambiato
Nel 2018 il governo giallo-verde di Giuseppe Conte e Matteo Salvini ha presentato un disegno di legge, chiamato “Codice rosso”, che ha modificato il codice di procedura penale e aumentato tutele per la vittima di violenza di genere. Si tratta di una serie di procedure che hanno velocizzato la denuncia e le indagini.
Convertito in legge nel 2019, ha accelerato l’avvio dei processi per reati come stalking e violenza sessuale e introdotto nuovi reati come il “revenge porn”, le lesioni permanenti al volto, la costrizione al matrimonio e la violazione dell’allontanamento dalla casa familiare.
Nel 2024, inoltre, è stata introdotta una revisione tecnica del Codice Rosso per ridurre i ritardi nelle trasmissioni degli atti e per dare priorità effettiva ai casi con indicatori di rischio elevato, che possono davvero fare la differenza in situazioni di possibile degenerazione di violenza.
Gli impegni del governo Meloni
Il governo meloni si è impegnato apertamente, attraverso le parole della stessa premier, a combattere il fenomeno di femminicidio e altre forme di violenza di genere. È stata creata una Commissione d’inchiesta sui femminicidi, che dopo una fase iniziale di inattività ha avviato veri lavori nel 2024 collaborando anche con le famiglie delle vittime.
Parallelamente, sono in corso progetti di raccolta dati più accurati in collaborazione con ISTAT, volti a identificare anche la violenza non denunciata, ancora molto diffusa.
La legge Roccella
La legge Roccella è stata approvata all’unanimità ed è diventata effettiva a novembre 2023, con l’obiettivo di rendere più semplice l’applicazione del Codice rosso, inasprire le pene e rafforzare il sistema cautelare.
La legge introduce inoltre l’“arresto in flagranza differita” con uso di immagini, messaggi e geolocalizzazioni, strumento applicato già da diversi tribunali nel 2024 con buoni risultati in termini di tempestività.
Tra le misure varate: l’estensione delle misure cautelari ai “reati spia”, ampliamento dell’ammonimento, limiti di distanza e braccialetto elettronico.
Nonostante ciò, molte associazioni segnalano come la prevenzione resti ancora il punto debole: senza educazione emotiva e sessuale strutturata nelle scuole, e senza fondi certi per i centri antiviolenza, l’impatto delle norme rischia di restare limitato.
Le novità del 2025
Arriviamo così ai giorni nostri. Nel 2025 il governo e il Parlamento hanno approvato una serie di misure che riempiono alcune delle lacune più volte denunciate da associazioni, giuristi ed esperti del settore. Tra le novità più significative c’è l’introduzione del reato autonomo di femminicidio, pensato per riconoscere e punire in modo specifico l’uccisione di una donna motivata dal genere. Una scelta sociale e politica che intende dare un nome chiaro al fenomeno e offrire un quadro sanzionatorio più severo, fino all’ergastolo nei casi più estremi.
Un altro tassello fondamentale è la riforma dell’articolo 609-bis del codice penale, che ha ridefinito la violenza sessuale basandola sul principio del “consenso libero e attuale”. Un cambiamento che allinea finalmente l’Italia ai più avanzati standard europei e ribalta prospettive ormai insostenibili:
non è più la vittima a dover dimostrare la propria opposizione, ma è l’assenza di un sì esplicito, valido e continuamente rinnovato a configurare il reato.
La riforma chiarisce, inoltre, che il consenso può essere revocato in ogni momento e che anche le forme di assenso non verbale devono essere inequivocabili e durature per tutto l’atto, colmando così quelle zone grigie che per anni hanno reso difficile perseguire efficacemente la violenza sessuale.
Nonostante queste conquiste normative siano state accolte con favore, il dibattito continua a sottolineare un punto cruciale: nessuna legge, per quanto avanzata, può essere sufficiente senza un investimento deciso nella prevenzione, nell’educazione alle relazioni e nella costruzione di una cultura del consenso. E proprio su questa linea, molte realtà chiedono ora al governo un passo ulteriore, capace di accompagnare la risposta repressiva con una trasformazione sociale profonda. E qui, purtroppo, siamo ancora decisamente indietro.
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