La cruda realtà del Bitcoin. È un’onda catartica del crollo finanziario

R. F.

18 Novembre 2025 - 14:58

La recente discesa del Bitcoin dimostra che siamo davanti a un’onda catartica del crollo finanziario.

La cruda realtà del Bitcoin. È un’onda catartica del crollo finanziario

Il rally del Bitcoin che aveva accolto una marea di nuovi investitori attraverso i facili ETF (Exchange-Traded Funds) è ufficialmente andato sott’acqua. Dal grafico Bloomberg sottostante potete vedere come nel giro di pochi giorni abbia bucato le tre medie mobili a 50gg a 100gg e a 200gg (quest’ultima la più importante) nel giro di pochi giorni.

Di qui, qualsiasi rimbalzo avrà breve respiro e sarà occasione di uscita. Target finale di questa correzione è abbastanza evidente: quota 80.000 è a portata di mano e dai livelli attuali del 17 novembre (91.200) significa una ulteriore correzione del 12%-13%.

Gli investitori nei fondi sui Bitcoin negoziati in borsa statunitensi, che offrono accesso diretto alla criptovaluta, si sono ritrovati martedì a registrare perdite collettive consistenti. Pensate che è stato calcolato il prezzo medio di carico (cost basis), cioè il prezzo del Bitcoin calcolato su tutti gli afflussi negli ETF da quando essi sono nati, e questo si aggira approssimativamente sui $89.600. Un livello che il Bitcoin ha brevemente violato prima di recuperare alcune perdite.

Proprio $89.600, una cifra che riflette il prezzo medio ponderato di tutti gli afflussi negli ETF su criptovalute sin dal loro lancio. Quando il Bitcoin scambia sotto questa soglia, la massa di investitori in ETF su Bitcoin ragionevolmente è in perdita netta.

GRAFICO DEL BITCOIN 01/01/24 – 17/11/25 CON MEDIE MOBILI A 50GG 100GG E 200GG GRAFICO DEL BITCOIN 01/01/24 – 17/11/25 CON MEDIE MOBILI A 50GG 100GG E 200GG FONTE: BLOOMBERG

Il token virtuale più grande era scambiato intorno ai $91.100 alle 9:55 a.m. ora di Londra di oggi 18 novembre.
Guardate di nuovo il grafico Bloomberg. La violazione del supporto dato dalla linea gialla, la MM a 200 gg, trend di lungo periodo, mette alla prova il coraggio degli investitori, sia retail che istituzionali, molti dei quali hanno cavalcato lo slancio delle criptovalute nell’ultimo anno sulla mera promessa di guadagni freschi e imminenti.

La struttura dell’ETF in criptovalute era stata acclamata come un punto d’ingresso più sicuro e regolamentato negli asset digitali. Tuttavia, il recente tonfo è un boccone amaro per i sostenitori delle criptovalute. Dopo aver drenato decine di miliardi di dollari di nuovi asset in ingresso durante il rally, il gruppo di 12 ETF spot dedicati al Bitcoin ha visto deflussi netti per circa $2,8 miliardi finora nel solo mese di novembre 2025.

Il fatto è che l’utilizzo massiccio di ETF nei mercati finanziari di questi ultimi 20 anni ha fornito liquidità a tonnellate, ma l’afflusso di liquidità vale sia nei mercati toro che nei mercati orso, ossia gli ETF amplificano i rimbalzi ma anche le discese. E così sta avvenendo per il Bitcoin.

Il brusco calo del Bitcoin pone oggi la maggior parte degli acquirenti istituzionali del 2025 in perdita per la prima volta e rischia di innescare ulteriori e massicci deflussi se il sentiment non si stabilizzerà presto.

Questo traguardo negativo sottolinea la velocità spaventosa con cui l’ottimismo è svanito nei mercati crypto. Dopo l’impennata a livelli record all’inizio di ottobre, arrivando a quota 115.000 dollari il 12 ottobre 2025, il Bitcoin a quota 91.200 ha ora ceduto - da quei livelli - circa il 20%, una correzione alimentata dai trader avversi al rischio ma anche dai detentori di lungo termine che stanno liquidando le loro posizioni.

Sebbene le criptovalute siano notoriamente volatili, il declino ha colto Wall Street di sorpresa, data l’ondata di denaro istituzionale che ha inondato il settore in questione, soprattutto a partire dalla vittoria presidenziale di Donald Trump, ferreo sostenitore delle criptovalute.

Miliardi di dollari sono confluiti negli ETF focalizzati sul Bitcoin quest’anno, con una linea di prodotti che si è rivelata così popolare da spingere gli emittenti a lanciare prodotti che vanno oltre il token principale e il suo parente, Ether. Pensate che Oltre 110 ETF focalizzati sulle criptovalute sono attualmente scambiati negli Stati Uniti, secondo i dati raccolti da Bloomberg.

Con le criptovalute in generale in forte calo - molte criptovalute minori stanno segnando perdite che superano il 50% per l’anno in corso - il “dolore” degli investitori si sta diffondendo attraverso l’intero complesso degli ETF. I token digitali hanno perso un valore di mercato combinato di $1.200 miliardi da quando il Bitcoin ha toccato il suo picco, secondo i dati di CoinGecko.

Ma, come alcuni sanno leggendo i miei articoli sul Bitcoin (vedi qui: Senza criptovalute si vive meglio) non sono un grande fan delle criptovalute, perché per me esiste un peccato originale del Bitcoin che nessuno può perdonargli: l’assenza di un debitore, e quindi la totale assenza di garanzie.

Quello che mi colpisce è che il fascino del Bitcoin si è sempre nutrito della sua retorica di libertà finanziaria concessa agli investitori che non devono dipendere dalle mosse delle banche centrali e usufruiscono della decentralizzazione degli scambi, che non avvengono sui circuiti bancari tradizionali. Ma, quando tutto questo si traduce in termini di investimento e di tutela patrimoniale, la sua stessa architettura decentralizzata rappresenta il suo difetto più profondo e imperdonabile. Quale difetto?

Be’, se ci pensate bene, investire in Bitcoin significa accollarsi un rischio che nel mondo della finanza tradizionale sarebbe considerato una bestemmia: l’assenza totale di un debitore. Nel Bitcoin si realizza infatti un vuoto istituzionale: se non c’è debitore, allora non c’è nessun responsabile in caso di default.

Nella finanza tradizionale, quando si acquista un’obbligazione, si ha lo Stato o una azienda che deve restituire il capitale (un debitore riconoscibile, con i suoi numeri e la sua storia). E se conosciamo il bilancio pubblico di quello stato o il bilancio aziendale, possiamo farci una idea della affidabilità del debitore. E quindi possiamo proteggerci dal default preventivamente. Ugualmente, quando si deposita denaro in banca, la banca è debitrice nei confronti del cliente, con garanzie governative (come la FDIC negli USA o il FITD, fondo interbancario per la tutela dei depositi in Italia) pronte a intervenire in caso di fallimento della banca.

Ma il Bitcoin non ha nessuno di questi “paracadute”.

Infatti non c’è nessuna entità emittente: il Bitcoin non è emesso da un governo, una banca centrale o un’istituzione legale. È un codice alfanumerico distribuito nella rete. Non c’è nessuno che «ti deve» il valore di quel Bitcoin. Possiede zero garanzie di recupero: se il valore dovesse crollare a zero (cosa strutturalmente possibile), non ci sono forme di protezione, fondi di salvataggio o tribunali a cui rivolgersi per reclamare il tuo capitale.

Insomma, il Bitcoin è diventata una religione vera e propria. Essendoci questo vuoto di responsabilità, si trasforma l’investimento in criptovalute in un atto di fede puro, una scommessa sul fatto che la prossima ondata di nuovi credenti pronti a metterci soldi sopra (i nuovi investitori) continuerà a sostenere la sua crescita di valore e, di conseguenza, la sua “natura divina”.

Non è proprio uno schema Ponzi ma ci siamo vicini.

Mentre i mercati tradizionali subiscono aggiustamenti guidati da dati macroeconomici, dagli utili aziendali o dalle decisioni sui tassi di interesse delle banche centrali, il prezzo del Bitcoin è in gran parte mosso da una forza unica e inaffidabile: il sentiment speculativo.

Quello che voglio dire è che mentre per valutare le azioni, le obbligazioni e le valute tradizionali abbiamo quei dati oggettivi che sono stati elencati sopra, per il Bitcoin ciò non accade. Il valore del Bitcoin è semplicemente un riflesso diretto dell’eccitazione (quando sale) o della paura collettiva (quando scende) che non dipendono da un dividendo o da una cedola, cioè non dipendono da un flusso di cassa sottostante.

Le oscillazioni del Bitcoin del 30%, 40% sono diventate la norma e non l’eccezione, dimostrando la sua natura intrinsecamente “isterica” e la sua totale inadeguatezza come riserva di valore stabile nel tempo. Il Bitcoin nasce come strumento di pagamento, ma ora la finalità speculativa prevale decisamente su quella “transazionale”.

E infine, dulcis in fundo, ci sono dei rischi regolatori. Il suo status legale (l’assenza di un corso legale riconosciuto dagli ordinamenti) rimane precario a livello globale. Un giro di vite normativo da parte di una grande economia sarebbe sufficiente a innescare un crollo consistente, perché di fatto, il Bitcoin ha un “rischio politico” che nessun altro asset tradizionale, in quanto già pienamente regolamentato, deve affrontare in modo così importante.

In sintesi, l’entusiasmo che molti investitori in Bitcoin hanno per la «libertà finanziaria» che esso dona al suo possessore si traduce, in termini finanziari, in una brutale verità: la libertà di assumersi un rischio assoluto senza alcuna forma di protezione o ricorso legale.

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