Solo chi possiede le competenze per dialogare con essa può davvero governarla e restare il punto di riferimento per clienti, imprese e comunità.
C’è un equivoco che si sta diffondendo nel mondo delle imprese e delle professioni: quello di pensare che la tecnologia, e in particolare l’intelligenza artificiale, possa sostituire del tutto il giudizio umano. È un errore culturale prima ancora che tecnico. Ogni volta che un software prende una decisione — su un credito, una diagnosi, una previsione di vendita o un profilo di rischio — c’è sempre qualcuno, un uomo o una donna, che ha deciso come quel software doveva ragionare. E se qualcosa va storto, non potremo mai fare causa all’algoritmo.
Le macchine non sono né buone né cattive: fanno ciò per cui sono state programmate. Ma la responsabilità resta sempre di chi le usa, le guida, le addestra o le sceglie. È una verità che vale per il grande gruppo industriale come per l’artigiano, per il manager come per il consulente.
L’automazione non elimina la responsabilità: la sposta, la amplia, la rende più visibile.
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