L’INPS può fallire? I numeri del 2024 e le prospettive per il futuro

Dimitri Stagnitto

13 Gennaio 2024 - 16:41

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Pensionati in aumento, pochi giovani a lavorare, costi e disavanzo crescenti: qual è la situazione economica di INPS e quali sono le prospettive per il futuro? Soprattutto, INPS può fallire?

L’INPS può fallire? I numeri del 2024 e le prospettive per il futuro

L’INPS può fallire? la domanda si fa più concreta man mano che passano gli anni e gli effetti della curva demografica dei paesi occidentali, e l’Italia non fa eccezione, continua a imporre i suoi inesorabili effetti.

Già oggi, INPS non riesce con le proprie risorse (i contributi versati negli anni dai lavoratori) a coprire il costo delle pensioni ch versa: per il 2024, l’INPS prevede un disavanzo di bilancio di 9,2 miliardi di euro, un aumento significativo rispetto alle previsioni del 2023.

Nei fatti, pagare le pensioni costerà allo stato quasi 10 miliardi di Euro, risorse che vanno acquisite dalla fiscalità generale o ricorrendo all’indebitamento attraverso l’emissione di Btp.
Si potrebbe dire, quindi, che nei fatti INPS abbia già fallito il suo compito di raccogliere e valorizzare i contributi versati per garantire una pensione congrua rispetto ai versamenti effettivi di ogni contribuente e sia quindi già, nei fatti, una branca dello stato che distribuisce a vario titolo redditi a popolazione inattiva consumando risorse dello Stato. Senza di queste, il bilancio INPS sarebbe già insostenibile e l’istituto sarebbe già fallito (o comunque avrebbe dovuto rivedere al ribasso le pensioni in modo significativo).

Quante pensioni paga INPS e quanto costano?

Al 1° gennaio 2023, l’INPS gestiva 17,7 milioni di pensioni, con il 77,2% di natura previdenziale e il 22,8% di tipo assistenziale.

Nel 2024, l’INPS ha previsto una spesa per le pensioni previdenziali di circa 310,8 miliardi di euro, segnando un incremento del 5,19% rispetto all’anno precedente, dovuto principalmente alle rivalutazioni delle pensioni esistenti.

Come cambierà la demografia in Italia nei prossimi anni

La struttura demografica italiana sta affrontando notevoli cambiamenti. Secondo le previsioni dell’Istat, la popolazione residente in Italia è in calo: dal 1° gennaio 2022, quando contava 59 milioni di abitanti, si prevede una diminuzione a 58,1 milioni nel 2030, e ulteriormente a 54,4 milioni nel 2050.

Questo trend di diminuzione è atteso fino al 2080, quando la popolazione dovrebbe scendere a 45,8 milioni.

Nel 2050, si stima che la quota degli individui di 65 anni e oltre sarà del 34,5% della popolazione totale, rispetto al 23,8% registrato nel 2022.

Il rapporto tra individui in età lavorativa (15-64 anni) e quelli non in età lavorativa (0-14 e 65 anni e più) passerà da circa tre a due nel 2022 a circa uno a uno nel 2050. Questo implica un marcato invecchiamento della popolazione, con un conseguente impatto sulle politiche di protezione sociale e, quindi, i bilanci di INPS e le pensioni che il sistema pensionistico potrà permettersi, concretamente, di pagare.

La composizione delle famiglie è anche in evoluzione: entro il 2042, solo una famiglia su quattro sarà composta da una coppia con figli, mentre più di una su cinque non ne avrà. Inoltre, si prevede che il numero di persone che vivono da sole aumenterà, passando dagli 8,4 milioni del 2022 ai 9,8 milioni nel 2042, con una crescita significativa tra gli anziani che vivono da soli. Anche questo aspetto sarà cruciale rispetto al sistema pensionistico dato che tutte queste persone anziane e sole non potranno contare sul sostegno, anche economico, dei figli.

Teniamo conto che, in questo senso, anche l’aiuto pratico (fare la spesa, accompagnare dal medico) sono sostegni tipicamente dati da figli che, per le persone sole, richiedono un esborso economico.

Quindi, INPS può fallire?

Dato ciò che abbiamo spiegato fino ad ora, INPS non può fallire se non per decisione politica. D’altro canto è chiaro come i bilanci dell’istituto (e le casse previdenziali separate, in gran parte, non fanno eccezione) potranno solo peggiorare negli anni a venire richiedendo esborsi crescenti al bilancio dello Stato.

Il limite, in questo senso, sarà dato dalle contingenze della politica: ogni governo si trova (e si troverà) ad affrontare la scelta: continuare a pagare e rivalutare le pensioni con aggravio per i bilanci pubblici o avviare riforme che le tagliano?

Consideriamo che, sempre per le dinamiche demografiche in atto unite alla scarsa attitudine dei giovani a recarsi alle urne, i pensionati attuali (o prossimi) sono di fatto la gran parte della base elettorale di tutti i partiti che possono andare al governo (e, forse, proprio di tutti).

Su questi presupposti i governi tendono a proporre riforme ipocrite che hanno scarsi effetti sulle pensioni attuali (come abbiamo visto quest’anno i costi saliranno nominalmente per l’adeguamento all’inflazione delle prestazioni) ma grandi effetti sulle pensioni future, con i lavoratori di oggi, specie i giovani, che pagano il massimo storico di aliquote previdenziali e avranno, quasi certamente, pensioni bassissime o nulle, sicuramente non in linea con i contributi versati se prendiamo a paragone questo rapporto per i pensionati di oggi e degli anni precedenti.

C’è da dire, d’altro canto, che le pensioni sono una distribuzione di reddito che normalmente viene speso nell’anno corrente e genera quindi PIL: l’effetto di un taglio degli assegni sarebbe quindi profondamente recessivo, al netto degli effetti sociali di decisioni di questo tipo,

Il problema è quindi complesso e non sembra avere una soluzione semplice e lineare.

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