La ricchezza globale cresce molto più del PIL: solo un nuovo ciclo di produttività potrà riequilibrare i mercati. Altrimenti, l’inflazione farà da correttivo con costi sociali elevati.
Negli ultimi venticinque anni, la ricchezza globale è esplosa, passando da circa 150 a oltre 600 trilioni di dollari. Ma la corsa dei patrimoni ha ormai superato di gran lunga quella dell’economia reale: oggi il valore degli asset mondiali è 5,4 volte il PIL globale, contro le 4,7 volte del 2000. Un divario che segnala un problema strutturale nel modo in cui la ricchezza viene generata, distribuita e sostenuta.
Secondo il McKinsey Global Institute, che ha aggiornato la sua analisi sul “bilancio globale”, oltre un terzo dell’aumento di valore degli asset registrato dal 2000 deriva da guadagni nominali scollegati dalla produzione reale di beni e servizi. Un altro 40% è attribuibile all’inflazione cumulata. Solo il 30% riflette nuovi investimenti produttivi: in pratica, ogni dollaro di investimento nell’economia reale ha creato 3,50 dollari di ricchezza “virtuale” e 2 dollari di nuovo debito.
Il risultato è una crescita patrimoniale gonfiata, alimentata da valutazioni finanziarie e politiche monetarie espansive, piuttosto che da innovazione o produttività. Il debito globale, oggi pari a 2,6 volte il PIL mondiale, è la controparte invisibile di questa abbondanza. L’apparente prosperità nasconde dunque una fragilità sistemica: basta una contrazione dei valori immobiliari o azionari per innescare effetti a catena sulla fiducia, sui consumi e sugli investimenti. [...]
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