Un sistema che gestisce miliardi, cambia pelle e continua a muovere potere: dal nuovo corso dello IOR alla vulnerabilità degli enti che amministrano i monumenti sacri d’Italia.
Confesso, a voi fratelli, sono stato cattolico praticante fino ad una ventina di anni fa. Aderivo e frequentavo associazioni di ispirazione religiosa, ne condividevo i principi, partecipando ai riti ecclesiastici ed alle iniziative benefiche. L’evoluzione della vita e delle mie convinzioni mi hanno allontanato dalla pratica religiosa ma ho conservato l’amicizia con le persone che ho conosciuto. La mia abitazione attuale è sopra ai tetti di un convento di francescani, un edificio enorme in estensione ma quasi vuoto di sacerdoti; in tutto tre, di origine indiana, guidati da un parroco siciliano, grande in spirito ma basso di statura. Le stanze sono quasi totalmente vuote.
Il potere temporale della Chiesa cattolica non è finito dopo il dissolvimento dello Stato Pontificio; si è trasformato, in parte ridotto, meno opaco. Immobili, partecipazioni, fondazioni e associazioni lo alimentano. E dentro questa infrastruttura – in parte visibile, in parte ancora no – opera un attore chiave, spesso percepito come un’istituzione “misteriosa” ma in realtà centrale nell’equilibrio dei conti vaticani: l’ Istituto per le Opere di Religione (IOR). È qui che si intersecano fede e finanza, trasparenza e prudenza, riforme e resistenze interne. Ed è da qui che bisogna partire per capire quanto pesa davvero il Vaticano nell’economia globale contemporanea.
Origini dell’Istituto: dalla guerra fredda a Papa Francesco
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