Trattative arenata tra ArcelorMittal e sindacati. L’acquirente non avrebbe fornito garanzie sufficienti sul futuro occupazionale per tutti i lavoratori. Intanto, Calenda annuncia che il governo è pronto a mettere nuove risorse per sbloccare la situazione.
Trattative arenate sul caso Ilva. La lunga nottata di discussione tra ArcelorMittal e i sindacati non ha dato i risultati sperati e in mattinata è arrivato l’annuncio del ministro dello Sviluppo Economico, Carlo Calenda: il governo è pronto a mettere sul tavolo ulteriori risorse per giungere a un accordo definitivo già nelle prossime ore.
Il nodo principale resta il mantenimento dei livelli occupazionali, con l’acquirente dell’acciaieria italiana che non ha fornito garanzie sull’assunzione di tutti i lavoratori a cessione avvenuta.
Il tutto si consuma a poche ore dalla nascita del nuovo esecutivo Lega-M5S, che nel contratto di governo prevede l’eventuale chiusura e riconversione degli stabilimenti dell’Ilva.
Le trattative
Sono state ore lunghe e di discussioni accese quelle che hanno visto insieme, seduti allo stesso tavolo per l’ennesima volta, ArcelorMittal – che si è aggiudicata la gara per acquisire l’Ilva – e i sindacati.
Quello che proprio non si riesce a sciogliere, da mesi ormai, è il nodo relativo al mantenimento dei livelli occupazionali dell’acciaieria italiana al momento della cessione.
Degli attuali 14 mila lavoratori dell’Ilva, secondo il piano presentato dall’acquirente, 10 mila passerebbero direttamente ad AmInvestco, la cordata guidata da ArcelorMittal che si è aggiudicata la gestione del gruppo.
Per i restanti dipendenti le sorti sarebbero diverse: per circa 2 mila è prevista l’uscita con gli esodi incentivati, agevolati e volontari; altri mille circa si occuperebbero delle operazioni di bonifica andando in carico all’amministrazione straordinaria e poco più di 500 confluirebbero nella società di Cornigliano.
Am-Investco, però, non ha fornito garanzie in merito all’assunzione per tutti i lavoratori Ilva alla fine dell’attuazione del piano industriale, ovvero nel 2023. Ed è questo il punto critico su cui si soffermano i sindacati.
“Le proposte di Mittal sono ancora insufficienti per poterle considerare presupposto di un accordo”
ha detto il segretario della Uilm, Rocco Palombella.
L’annuncio di Calenda
Mentre nelle prossime ore non sono escluse novità sul fronte della trattativa, in mattinata il ministro Calenda ha annunciato che il governo è pronto e mettere nuove risorse economiche per sbloccare la situazione e procedere così speditamente verso una soluzione della vicenda.
Le parole del titolare dello Sviluppo Economico sono risuonate come un monito nel corso del suo intervento all’assemblea di Confindustria
“Attenzione, fate presto, l’Ilva finirà la cassa nel mese di luglio e ricominciare tutto da capo per seguire chi propone soluzioni tecnologiche irrealizzabili rischia questa volta di provocare una chiusura tutt’altro che progressiva”
ha avvertito il ministro.
L’eventuale chiusura dell’Ilva
Calenda fa riferimento anche all’ipotesi avanzata da Lega-M5S, che nel contratto di governo hanno inserito un punto relativo proprio all’Ilva che prevede
“un programma di riconversione economica basato sulla chiusura delle fonti inquinanti, per le quali è necessario provvedere alla bonifica, sullo sviluppo della green economy e delle energie rinnovabili e sull’economia circolare”.
Una trovata “populista” secondo il ministro, che ha aggiunto:
“In nessun pianeta di nessuna galassia conosciuta e sconosciuta un investitore che vince una gara e mette 4,2 miliardi sul piatto per risanare il più grande complesso industriale del Sud viene accolto a suon di ricorsi e di piani assurdi del tipo “vogliamo progressivamente chiudere”. Ma di che parliamo?”.
L’eventuale chiusura dell’Ilva, secondo uno studio del Sole 24 Ore, costerebbe almeno 3,4 miliardi di euro.
© RIPRODUZIONE RISERVATA