Il dollaro potrebbe rafforzarsi per un insolito motivo. Ecco un indizio: un ritorno spiacevole dell’inflazione. In USA? Si, ma anche in Europa. Ecco uno scenario da conoscere.
Oggi il dollaro si muove al contrario.
Esatto: anche se sono tanti i fattori che incidono sul valore di una valuta, in linea di principio i capitali vanno dove c’è più rendimento. È il classico principio della ricerca di “yield”: tassi alti attraggono denaro, tassi bassi lo respingono. In teoria, gli Stati Uniti dovrebbero essere la calamita perfetta, i Treasury rendono oltre il 4%, e le azioni USA offrono earning yield più elevati di quelle europee. Eppure, negli ultimi mesi, i capitali non stanno affluendo in massa verso i bond americani. Anzi, in più momenti si sono mossi in direzione opposta. Come mai? E soprattutto, cosa potrebbe cambiare questa dinamica? La risposta riguarda un elemento piuttosto insolito…
Rendimenti reali: il fattore chiave che molti ignorano
Molti guardano solo ai rendimenti nominali, ma chi muove capitali importanti sa che conta soprattutto il rendimento reale, cioè il tasso nominale meno l’inflazione.
Oggi, se il rendimento del Treasury a 1 anno (US1Y) è al 4,3% e l’inflazione USA è al 3,1%, il rendimento reale è appena sopra l’1%. Decimale più, decimale meno. Non certo un premio esagerato per il rischio e l’esposizione valutaria.

Perché i capitali hanno guardato all’Europa
Negli ultimi trimestri, il quadro europeo è stato quasi l’opposto.
Mentre l’inflazione in Europa crollava più velocemente rispetto agli Stati Uniti, i tassi nominali BCE restavano fermi, mantenendo i real yield più stabili o addirittura in lieve crescita. Questo ha favorito movimenti di capitale verso il Vecchio Continente, almeno sul breve termine.
L’elemento che potrebbe invertire la rotta
Lo scenario potrebbe però cambiare velocemente se un fattore esogeno, legato soprattutto alla politica commerciale USA, dovesse colpire l’Europa.
Pensiamo a due ipotesi plausibili:
- Trump esporta inflazione in Europa attraverso nuove sanzioni verso la Russia o misure protezionistiche aggressive che alterano i prezzi delle materie prime e delle importazioni.
- Politica monetaria BCE ferma, con tassi nominali bassi e nessuna prospettiva di rialzo (la probabilità di una stretta monetaria in Europa è praticamente zero, anche per motivi politici).
Se l’inflazione europea risalisse oltre il 2%, soglia di stabilità della BCE, senza un adeguamento dei tassi, i real yield dell’Eurozona scenderebbero sensibilmente.
Perché questo favorirebbe il dollaro
Anche negli USA, un aumento dell’inflazione sarebbe un problema. Ma la differenza è che lì il mercato opera ancora con tassi nominali più alti. Questo crea un differenziale relativo di rendimento reale che potrebbe riportare capitali verso il dollaro, non tanto per avidità di rendimento, quanto per ricerca di stabilità e protezione.
Il dollaro, infatti, è ancora considerato una valuta rifugio. In uno scenario in cui i rendimenti reali europei calano e quelli USA restano positivi, anche se non elevati, la domanda di dollari potrebbe aumentare. Non per un boom speculativo, ma per un riequilibrio del rischio valutario e macroeconomico.
Una dinamica sottile, ma da seguire
Non significa che il dollaro esploderà al rialzo dall’oggi al domani, né che sia il momento di inseguirlo alla cieca. Significa, piuttosto, che c’è un elemento poco discusso ma potenzialmente decisivo nel determinare i flussi di capitale nei prossimi mesi.
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