I riflettori sono puntati, oggi più che mai, sullo Shanxi, ovvero la principale provincia cinese produttrice di carbone.
Potrebbe sembrare un controsenso, un paradosso, una contraddizione. E invece, il fatto che il cuore carbonifero della Cina si stia per spegnere, rappresenta un problema non da poco per il Paese che prima e meglio di tutti gli altri appare sulla buonissima strada per diventare il primo «elettrostato» del pianeta.
I riflettori sono puntati, oggi più che mai, sullo Shanxi, ovvero la principale provincia cinese produttrice di carbone. Mentre Pechino indica la via della nuova modernizzazione, una modernizzazione che include auto elettriche ed energie rinnovabili, il futuro delle miniere che hanno alimentato i primi millenni di ascesa del Dragone appare quanto mai avvolto nella nebbia.
Già, perché il governo guidato da Xi Jinping non può semplicemente chiudere questi siti inquinanti come se niente fosse. Prima di tutto perché il carbone serve ancora a un Paese che lo utilizza per generare circa il 60% di elettricità, nonché per bilanciare l’intermittenza delle rinnovabili e sostenere le grandi industrie pesanti. E poi perché un intervento radicale nello Shanxi taglierebbe le gambe alla provincia che ha la più bassa crescita del pil a livello nazionale e un’economia locale che dipende fortemente dal carbone. [...]
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