Il modo migliore per difendersi dal greenwashing è quello di affidarsi a professionisti seri, capaci di riconoscere i fondi davvero ESG.
L’argomento è di scottante attualità, il dubbio lecito. Con l’entrata in vigore nel gennaio 2023 dei nuovi requisiti previsti dalla Sustainable Finance Disclosure Regulation (SFDR) in Europa, solo nell’ultimo trimestre del 2022 oltre 300 fondi sostenibili – che gestivano 175 miliardi di euro o il 40% del totale della categoria - sono stati declassati per evitare accuse di greenwashing (cioè quella tecnica di comunicazione che mira a presentare, in modo ingannevole, i propri investimenti come sostenibili quando invece non lo sono).
Dopo questa premessa, una provocazione. Così come sostiene il professor Alex Edmans della London Business School, dovremmo forse smetterla di parlare di investimenti ESG relegandoli così ad una nicchia. Bisogna riconoscere, invece, che i criteri ESG sono fondamentali per determinare il valore di un’azienda nel lungo termine e, quindi, dovrebbero essere considerati da tutti i gestori e non solo da quelli di fondi sostenibili. Si parla tanto, forse troppo, di ESG investing, ma in realtà l’acronimo ESG diventerà presto pleonastico perché tutti gli investimenti lo saranno. Non perché lo imporrà un regolatore, ma perché non si può prescindere dall’integrare i criteri ESG se si vuole ottimizzare il ritorno finanziario di un investimento. [...]
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