Le guerre in corso nel 2022: non solo Ucraina, ecco dove si combatte ancora

Marta Zanierato

13 Marzo 2022 - 18:00

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La guerra in Ucraina rischia di non lasciare spazio ad altre notizie, ma i conflitti in corso di cui non ci preoccupiamo sono ancora tanti.

Le guerre in corso nel 2022: non solo Ucraina, ecco dove si combatte ancora

Il mondo intero è alle prese con il coronavirus, non ancora finito, da un lato e con la guerra in Ucraina dall’altro. Distrazioni importanti e tutte le altre notizie passano in secondo piano o vengono addirittura dimenticate.

Non bisogna pensare che a causa della pandemia molte delle guerre che erano in atto prima del 2020 si siano fermate o risolte per cause di forza maggiore. Molti sono i conflitti ancora attivi e molti di questi stanno ancora mietendo vittime e diffondendo soprusi.

Guerre 2022: ecco dove si combatte ancora

Vediamo, dunque, quali sono le guerre ancora in corso nel 2022, alcune delle quali si protraggono ormai da anni.

Siria

La crisi in Siria è ormai giunta al suo undicesimo anno e, anche se gran parte del Paese è stato distrutto dai combattimenti, inclusi i sei siti Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco, la lotta per il potere è ancora in corso. 

Nel marzo 2011 il governo siriano, guidato dal Presidente Bashar al-Assad, ha assistito a una serie di proteste per favorire la democrazia nel Paese. I manifestanti chiedevano la fine del regime di Assad. Per reprimere le manifestazioni, le autorità hanno fatto ampio uso di forze di polizia e militari, cercando di arginare con violenza le proteste. Nonostante il cessate il fuoco concordato nel Nord-ovest del Paese a inizio 2020 gli scontri armati nella zona di Idlib sono avvenuti comunque: l’area è ancora in mano agli anti-governativi e la situazione umanitaria si è aggravata in modo preoccupante. 
 
Yemen

Il conflitto in Yemen ha origine nel 2011. La transizione politica che ha visto Ali Abdullah Saleh, cedere il potere al suo vice, Abdrabbuh Mansour Hadi, avrebbe dovuto portare stabilità nel Paese e invece da allora la situazione è precipitata.

Il presidente Hadi ha dovuto affrontare vari attacchi da parte delle forze militari fedeli a Saleh, una crescente insicurezza alimentare e una crisi economica dilagante. I combattimenti in Yemen sono iniziati nel 2014 per poi intensificarsi nel 2015: prima il movimento ribelle musulmano sciita Houthi ha costretto Hadi all’esilio all’estero, poi si è scontrato con l’Arabia Saudita e altri otto stati, per lo più arabi sunniti che avevano l’obiettivo di ripristinare il governo di Hadi.

Ancora oggi il conflitto fa parte di una serie di tensioni regionali e culturali nel Medio Oriente tra sciiti e sunniti.
 
 
Etiopia

Lo scontro ha inizio nel novembre del 2020, quando le truppe di Addis Abeba hanno attaccato la regione del Tigray, dove si erano tenute elezioni non autorizzate che avevano visto vincere il Tplf (Tigray People’s Liberation Front), la formazione politica e militare rappresentante della comunità tigrina dell’Etiopia.

Il premier Abiy Ahmed, insignito nel 2019 del premio Nobel per la Pace per aver siglato una storica tregua con l’Eritrea, in risposta alle votazioni illegittime ha dato il via libera a un’offensiva su larga scala per sottomettere la regione ribelle.

I partigiani tigrini sono passati alla controffensiva, hanno riconquistato la città di Macallé e hanno esteso il conflitto ad altre province dell’ex colonia italiana. Oggi i combattimenti sono a poche centinaia di chilometri dalla capitale Addis Abeba e il rischio di una catastrofe è estremamente concreto.

Mali

Dopo il primo colpo di stato avvenuto nel 2020, un secondo golpe avviene il 24 maggio 2021. I militari del Mali, scontenti del nuovo governo annunciato dalle autorità di transizione, hanno rimosso con la forza il presidente Bah Ndaw e il primo ministro Moctar Ouane portandoli nel campo militare di Kati, a poche miglia da Bamako.

Nell’ultimo anno (2021) i conflitti hanno quadruplicato il numero degli sfollati che hanno toccato una quota di 400 mila persone. 
 
Repubblica democratica del Congo

Qui non si può propriamente parlare di una “guerra”. Tuttavia, l’Est rimane preda di centinaia di gruppi armati che vogliono avere il controllo sul territorio e sulle risorse.

L’insicurezza è ormai concentrata nelle tre province orientali del Sud Kivu, Nord Kivu e Ituri, dove dal 2014 le Allied Democratic Forces (Adf) compiono stragi di civili con un’efferatezza micidiale. 
 
Il Sudan del Sud

Dopo otto anni di guerra, è in mano a un’élite militare che controlla le risorse e massacra la popolazione al fine di “somalizzare” il territorio. Sono sempre di più i villaggi attaccati con forme di violenza estreme tipiche di questo conflitto: uccisioni di massa che coinvolgono anche i bambini, mutilazioni e stupri. 
 
Libia

Il «Governo di tutti i libici», chiamato a guidare il Paese nel percorso di transizione democratica fino alle elezioni previste per il 24 dicembre scorso e poi rinviate, ha formalmente posto fine alla separazione tra il Governo di Accordo Nazionale (Gna) con sede a Tripoli, e quello fedele al maresciallo Khalifa Haftar, con sede a Tobruk.

Ma intanto i trafficanti di esseri umani hanno accelerato le loro attività, e i mercenari stranieri continuano a padroneggiare il territorio. La guerra al momento è cessata, ma la situazione rimane pronta a riesplodere. 
 
Somalia

Il terrorismo islamico minaccia la politica e la vita dei cittadini. Tra la fine del 2018 e i primi mesi del 2019, entrambi i gruppi, quello filo qaedista degli Shabab e quello affiliato all’Isis (denominato Islamic State in Somalia-Abnaa ul-Calipha), hanno cominciato a taglieggiare la popolazione, le imprese e le società per autofinanziarsi.

Il conflitto interno continua ad avere seguito ancora oggi nonostante la pandemia abbia ulteriormente aggravato la situazione umanitaria del Paese.
 

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