Guerra in Libia: i 3 rischi per l’Italia se riesplode il conflitto

Violetta Silvestri

26/01/2020

27/01/2020 - 13:11

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Guerra in Libia: continuano gli scontri nonostante il cessate il fuoco stablito nella Conferenza di Berlino. Lo scenario si fa di nuovo pessimista. Ma cosa rischia l’Italia se riesplode il conflitto libico?

Guerra in Libia: i 3 rischi per l’Italia se riesplode il conflitto

I venti della guerra in Libia non si fermano. Anzi, sembra soffino ancora più forte, nonostante le dichiarazioni e le buone intenzioni della Conferenza di Berlino di pochi giorni fa.

Proprio in questo fine settimana la situazione si è aggravata, aumentando il livello di tensione e, soprattutto, mostrando tutta la complessità nel trovare una via d’uscita davvero efficace.

Le due parti in lotta, rappresentate dal generale Haftar e da al-Serraj, sembra non abbiano alcuna intenzione di lavorare per la pace, in quello spirito di collaborazione che Berlino pareva aver sancito. Quali conseguenze per la Libia? Di certo stanno aumentando le possibilità che il conflitto, non la tregua, riesploda in modo drammatico.

Uno scenario, questo, che mette l’Italia in prima linea per rischi e coinvolgimenti diretti. Con la guerra in Libia di nuovo accesa, il nostro Paese si troverebbe in una situazione preoccupante. Su almeno 3 fronti.

Guerra in Libia: il conflitto potrebbe riaccendersi. Quali rischi per l’Italia?

La pace è ancora lontana e difficile nello Stato libico. A confermare una situazione fragile sono gli aggiornamenti del fine settimana.

Innanzitutto, i combattimenti sono in corso, con accuse reciproche delle due principali fazioni in campo di aver violato il cessate il fuoco stabilito a Berlino.

Nello specifico, le milizie di Haftar hanno attaccato Abu Qurain, a sud di Misurata, provocando scontri gravi nella regione. Già nei giorni scorsi erano giunte notizie di combattimenti nella zona meridionale di Tripoli, con accuse incrociate tra i gruppi di milizie.

Oggi, domenica 26 gennaio, Erdogan ha alzato la voce contro il generale Haftar, dal quale, secondo il Presidente turco, principale sostenitore di al-Serraji, non ci si può aspettare il rispetto del cessate il fuoco.

Intanto, l’ONU ha denunciato il mancato rispetto dell’embargo di armi da parte anche di Paesi partecipanti alla Conferenza di Berlino. In settimana, infatti, si sono susseguiti atterraggi di cargo con armamenti destinati all’uno e all’altro esercito sul fronte.

Infine, è arrivata anche la pessimistica analisi della NOC, la compagnia petrolifera nazionale superpartes, sulla decisione di Haftar di chiudere i pozzi. Le perdite per le mancate esportazioni ammontano a 257 milioni di dollari, con un crollo produttivo significativo, pari a tre quarti della produzione.

Un quadro instabile e pericoloso, dunque, emerge dalle ultime notizie. Per l’Italia l’acuirsi delle tensioni sul campo è un campanello d’allarme. Sono almeno 3 gli ambiti a rischio per il nostro Paese: immigrazione, economia e coinvolgimento sul fronte.

1. Immigrazione

L’attivismo del generale Haftar e delle sue truppe, in continuo fermento e poco propense al fermarsi per un seppur debole cessate il fuoco, è il primo grande pericolo per l’Italia. Con un conflitto acceso e mai veramente spento alle porte di Tripoli, infatti, il rischio di una guerra totale è più che realistico.

Se il generale, fortemente osteggiato dalla Turchia, dovesse intensificare i suoi combattimenti in queste ore o giorni e avvicinarsi - o entrare addirittura - nella capitale, la confusione sarebbe totale.

La guerra non potrebbe essere fermata facilmente in questo drastico scenario. Entrando nella capitale, infatti, verrebbero bloccate le attività istituzionali ed economiche, con una paralisi del Paese.

L’ondata di fuga dei libici sarebbe travolgente e le coste italiane potrebbero dover affrontare un’emergenza umanitaria. Da considerare, infatti, anche i circa 600.000 profughi nei campi di detenzione libici e provenienti dalla via nigeriana: senza più controllo nel Paese, questi detenuti potrebbero provare l’arrivo in Italia.

Con la possibilità, inoltre, di veder crollare la rete di collaborazione tra Paesi per la gestione dei flussi.

2. Economia

Se finora il blocco petrolifero imposto da Haftar nei principali giacimenti petroliferi e porti nell’Est e nel Sud del Paese non ha intaccato in modo grave l’attività di ENI, un peggioramento del conflitto potrebbe causare danni importanti.

La compagnia italiana, infatti, è molto attiva nel Paese. Nel 2018, per esempio, il 17% della produzione ENI è avvenuta proprio in terra libica. Il rapporto commerciale con Tripoli nel settore degli idrocarburi è fondamentale.

Basta considerare che la società italiana è la principale presenza straniera sul territorio libico. Inoltre, buona parte del gas estratto nel Paese nord-africano arriva nei nostri porti, come, per esempio, quello trasportato attraverso il gasdotto Greenstream, che termina a Gela, in Sicilia.

Una ripresa del conflitto e una eventuale presa di forza di Haftar su al-Serraji andrebbe a sconvolgere questi equilibri, mettendo a rischio affari e approvvigionamento energetico.

3. Coinvolgimento militare

L’Italia protrebbe trovarsi in prima linea anche a livello militare. Il legame storico che la nostra nazione ha nei confronti della Libia, infatti, potrebbe tradursi in un coinvolgimento militare in caso di escalation della guerra.

Anche in caso di mantenimento della tregua, comunque, probabilmente il nostro Paese manderà propri soldati per creare una forza di controllo del cessate il fuoco sotto l’egida di ONU o Nato.

Una partecipazione, quindi, importante per il Governo e la nazione tutta. Per questo, la guerra in Libia resta osservata speciale per l’Italia.

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