Il 1° agosto sta arrivando: cosa succederà nella guerra dei dazi innescata da Trump? La tregua è finita, ecco i Paesi con e senza accordo. Chi rischia di più?
Conto alla rovescia iniziato: venerdì 1° agosto finisce il tempo concesso da Trump per stipulare accordi ed evitare la scure più severa dei dazi. A che punto siamo? Chi sono i Paesi con un’intesa e quali nazioni senza tregua rischiano di più?
L’economia mondiale con il fiato sospeso dinanzi alla continua e imprevedibile minaccia del presidente USA di un’imposizione storica di tariffe alle importazioni per “punire” il deficit commerciale eccessivo.
Per la maggior parte dei Paesi, si tratta della seconda data chiave annunciata dal presidente statunitense, dopo quella del “Giorno della Liberazione” del 2 aprile.
Ad aprile, Trump aveva affermato di aver concluso “oltre 200 accordi” in un’intervista al Time Magazine, e il consigliere commerciale Peter Navarro aveva affermato che “90 accordi in 90 giorni” erano possibili. Il Paese è rimasto ben lontano da questo traguardo, con solo otto accordi in 120 giorni, incluso uno con l’Unione Europea a 27.
Nel frattempo, il tycoon ha scioccato i mercati con le nuove regole tariffarie sul rame, facendo crollare i prezzi a New York a un livello record dopo aver esentato le forme più scambiate di questo metallo da dazi del 50%.
In sintesi, Trump continua a destabilizzare l’economia globale. La Casa Bianca ha minacciato imposte reciproche per i Paesi senza accordi bilaterali il 1° agosto. Il presidente ha affermato che le aliquote a livello mondiale passeranno dal 15% al 50%, attuando politiche che, a suo avviso, riporteranno in patria la produzione manifatturiera e aumenteranno le entrate governative, dandogli al contempo un’enorme influenza sui Paesi le cui esportazioni dipendono dai consumatori statunitensi.
Qual è la situazione economica attuale? Le nazioni con accordi - più o meno ufficiali - e quelle senza tregua che rischiano grosso.
Trump pronto all’affondo sui dazi il 1° agosto. Quali Paesi hanno un accordo?
La maggior parte dei Paesi non ha ancora un accordo commerciale e i dettagli chiave sono scarsi per coloro che ne hanno uno, tra cui potenziali esenzioni, promesse di investimento e potenziali modifiche alle norme di origine.
L’incertezza e la confusione legate alla lunga attuazione del nuovo ordine commerciale di Trump hanno già colpito la crescita economica globale e pesato sugli investimenti, nonostante i mercati rimangano ottimisti.
Di seguito, ecco le nazioni che sono riuscite a fissare una tregua con il presidente Usa:
Regno Unito
Il Regno Unito ha guidato la campagna per gli accordi commerciali con gli Stati Uniti, stipulandone uno già a maggio. Il quadro normativo prevede dazi di base del 10% sui beni britannici, oltre a diverse quote ed esenzioni per prodotti come automobili e prodotti aerospaziali.
Ma anche dopo il recente incontro del Presidente degli Stati Uniti Donald Trump con il Primo Ministro Keir Starmer in Scozia, alcuni punti del loro accordo commerciale rimangono incerti. Tra questi, i dazi sull’acciaio e l’alluminio del Regno Unito, che gli Stati Uniti hanno accettato di ridurre. Anche le trattative sulla tassa sui servizi digitali del Regno Unito, che Trump vorrebbe eliminare, sembrano proseguire.
Vietnam
Il Vietnam è stato il secondo Paese a oltrepassare il limite con l’amministrazione Trump: il 2 luglio il presidente USA ha annunciato un accordo commerciale che ha ridotto i dazi imposti al Vietnam dal 46% al 20%.
Sebbene ci sia stata questa diminuzione, secondo un rapporto di Politico, il Vietnam sembra essere stato colto di sorpresa dall’aliquota del 20% imposta. Politico ha affermato che i negoziatori si aspettavano un’imposta dell′11%, ma Trump ha annunciato unilateralmente la tariffa del 20%.
Indonesia
L’Indonesia ha ridotto l’aliquota tariffaria dal 32% al 19% nell’accordo con Trump, annunciato il 15 luglio.
La Casa Bianca ha affermato che l’Indonesia eliminerà le barriere tariffarie su oltre il 99% dei prodotti statunitensi esportati in Indonesia in tutti i settori, compresi i prodotti agricoli e l’energia.
Filippine
A differenza dei paesi ASEAN sopra menzionati, che hanno ottenuto notevoli riduzioni dei dazi doganali, le Filippine hanno registrato una diminuzione di un solo punto percentuale, dal 20% al 19% del 22 luglio.
Secondo Trump, Manila non imporrà dazi sui prodotti statunitensi come parte dell’accordo.
Il tycoon ha anche affermato che le Filippine collaboreranno “militarmente”, senza specificare alcun dettaglio. I due Paesi sono già alleati tramite accordi, con Manila che ospita truppe statunitensi e un trattato di mutua difesa che risale al 1951.
Giappone
Il Giappone è stata la seconda grande economia asiatica a raggiungere un accordo con gli Stati Uniti dopo la Cina, vedendo la sua aliquota tariffaria ridotta dal 25% al 15% il 23 luglio, ed è stata la prima economia a vedere una tariffa preferenziale più bassa per il suo settore chiave automobilistico.
Trump ha definito l’accordo “forse il più grande affare mai concluso”, aggiungendo che il Giappone investirà 550 miliardi di dollari negli Stati Uniti e che gli Stati Uniti “riceveranno il 90% dei profitti”.
Non sono mancati, comunque, momenti di tensione. In diverse occasioni Trump ha descritto il Giappone come “molto duro” nei colloqui commerciali e ha additato il Paese per non aver accettato il riso statunitense nonostante si trovasse ad affrontare una carenza di riso interno.
Unione Europea
L’accordo tra l’Unione Europea e gli Stati Uniti è stato raggiunto solo pochi giorni fa, dopo lunghe trattative. Le merci dell’UE ora sono soggette a un’aliquota tariffaria di base del 15%, metà del 30% che Trump aveva precedentemente minacciato di imporre all’Unione.
I dazi esistenti sulle auto saranno ridotti al 15% e le imposte su alcuni prodotti come gli aerei e alcuni farmaci generici torneranno ai livelli pre-gennaio. Ma l’accordo è stato accolto con critiche, anche da parte di alcuni leader europei. I dettagli, inoltre, non sono ancora noti.
Corea del Sud
La Corea del Sud vedrà una tariffa generale del 15% sulle sue esportazioni, mentre i dazi sul settore automobilistico saranno anch’essi ridotti alla stessa aliquota.
La Corea del Sud “darà agli Stati Uniti 350 miliardi di dollari per investimenti posseduti e controllati dagli Stati Uniti e selezionati da me, in qualità di Presidente”, ha affermato Trump.
India
Trump ha annunciato un dazio del 25% sull’India, con un’ulteriore “penalità” non specificata per quelle che considera politiche commerciali ingiuste e per l’acquisto da parte dell’India di equipaggiamento militare ed energia dalla Russia.
L’aliquota tariffaria del 25% è leggermente inferiore a quella imposta da Trump all’India nel “Giorno della Liberazione”, quando annunciò un’aliquota del 26% sul principale partner commerciale, ma si colloca al limite superiore dell’intervallo del 20%-25% che il presidente degli Stati Uniti aveva dichiarato di prendere in considerazione.
Le ultime notizie, però, affermano che i colloqui sarebbero ancora in corso.
Cosa succede con la Cina?
I colloqui commerciali dell’amministrazione Trump con la Cina hanno preso una piega diversa rispetto al resto del mondo. La seconda economia mondiale è stata nel mirino commerciale di Trump fin dal suo insediamento con molto più accanimento rispetto agli altri Paesi.
Invece di un accordo, il dragone ha raggiunto una serie di sospensioni sui dazi “reciproci”. Inizialmente è stata colpita da un dazio del 34% a partire dal “Giorno della Liberazione”, prima che una escalation di tensione si traducesse in dazi al 145% per le importazioni cinesi negli Stati Uniti e al 125% per le importazioni statunitensi in Cina.
Tuttavia, entrambe le parti hanno concordato una riduzione dei dazi a maggio, dopo il loro primo incontro commerciale a Ginevra, in Svizzera. La tregua è stata fissata fino al 12 agosto. La Cina si trova attualmente ad affrontare un’aliquota tariffaria combinata del 30%, mentre gli Stati Uniti stanno valutando dazi del 10%.
L’ ultimo incontro tra i due Paesi a Stoccolma si è concluso senza una proroga della tregua.
I Paesi in bilico, senza un accordo sui dazi approvato
Secondo Trump, ai Paesi senza accordo verrà imposta una tariffa di base globale più elevata, pari a circa il 15-20%, superiore alla tariffa di base del 10% annunciata nel “Giorno della Liberazione”.
Le nazioni con un surplus commerciale con gli Stati Uniti molto probabilmente vedranno un tasso tariffario “reciproco” più elevato.
Canada
Negli ultimi mesi si sono verificati frequenti tira e molla tra Canada e Stati Uniti in merito ai dazi doganali, con il Paese colpito da tariffe anche prima che Trump annunciasse i cosiddetti dazi “reciproci”.
Il Canada si troverà ad affrontare dazi del 35% su vari beni a partire dal 1° agosto, e Trump ha minacciato di aumentare tale aliquota in caso di ritorsione. L’aliquota è indipendente da eventuali dazi settoriali.
Trump ha ripetutamente citato il flusso di droga dal Canada agli Stati Uniti come motivo della sua decisione di imporre dazi. Il Primo Ministro canadese Mark Carney ha dichiarato all’inizio di questa settimana che i partner si trovavano in una “fase intensa”, sottolineando che sarebbe però improbabile un accordo senza dazi, ha riportato Reuters.
Messico
Come il Canada, anche il Messico è da tempo un obiettivo tariffario degli Stati Uniti; Trump ha citato la droga e l’immigrazione illegale come fattori determinanti nella sua decisione di annunciare imposte sul vicino meridionale degli Stati Uniti.
Il presidente ha affermato che il Messico non ha fatto abbastanza per proteggere il confine. La nazione sarà colpita da una tariffa del 30% e qualsiasi ritorsione sarà punita con un’aliquota ancora più elevata da parte degli Stati Uniti.
Il governo messicano ha sottolineato che è importante che i partner commerciali risolvano i loro problemi prima del 1° agosto, ma nelle ultime settimane non si sono visti molti segnali di progressi verso un accordo.
Australia
L’Australia si trova attualmente ad affrontare il tasso di base del 10%, a causa del deficit commerciale con gli Stati Uniti. Tuttavia, il Paese potrebbe dover affrontare un’aliquota tariffaria più elevata se Trump decidesse di aumentare il tasso di base al 15-20%.
Non si sa pubblicamente se Canberra sia coinvolta in trattative commerciali con Washington; il primo ministro Anthony Albanese avrebbe sostenuto che il deficit dell’Australia con gli Stati Uniti e il suo accordo di libero scambio dovrebbero comportare l’assenza di dazi sulle importazioni australiane.
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