Esiste un lavoro che garantisce ottimi guadagni e un numero sorprendente di giorni liberi ogni anno. Eppure, nonostante questi vantaggi, sono ancora in pochi a volerlo fare.
Guadagni che superano 1 milione di corone norvegesi l’anno, poco meno di 850 mila euro al cambio attuale, 250 giorni liberi, la possibilità di viaggiare per mesi e una carriera che può partire già da giovani.
Eppure questo lavoro continua ad attirare poche persone. Parliamo delle piattaforme petrolifere del Mare del Nord, un mondo che dall’esterno appare duro, estremo, quasi proibitivo, ma che per molti rappresenta un’opportunità imperdibile di crescita professionale e personale. A raccontarlo è Amalie Lundstad, 29 anni, diventata una piccola celebrità sui social con oltre 106.000 follower. Tecnico di processo e area manager su una piattaforma al largo di Bergen, mostra la vita quotidiana di chi lavora “offshore”: turni intensi, grandi responsabilità, sicurezza al primo posto, ma anche stipendi elevati e lunghe pause a terra.
Il suo racconto permette di scoprire cosa significa davvero vivere e lavorare per settimane in mezzo al mare, in una struttura che funziona come una piccola città sospesa sull’acqua, dove si alternano momenti di forte pressione e spazi di sorprendente normalità.
Come funziona una giornata lavorativa sulla piattaforma
Per arrivare al lavoro, Amalie deve prima volare. Da Oslo raggiunge Bergen, poi sale su un elicottero che la porta direttamente sulla piattaforma. Qui rimane per due settimane, la durata standard dei turni offshore. Le giornate seguono due possibili orari: 6:45 o 18:45. Il primo appuntamento è con il team che smonta, un passaggio necessario per aggiornarsi su cosa è accaduto nelle ultime ore. Poi inizia il giro della struttura e la preparazione delle attività del giorno.
Lavora sempre in coppie, il che è necessario per avere un controllo reciproco e per gestire meglio i momenti più pesanti, alternandosi quando necessario. Come tecnico di processo, Amalie ha un ruolo delicato: deve monitorare ogni operazione che avviene sulla piattaforma e verificare che tutto sia eseguito nel rispetto delle procedure di sicurezza. È uno degli aspetti centrali del lavoro, perché gli incidenti sono un rischio reale. Negli Stati Uniti, tra il 2014 e il 2019, più di 400 persone hanno perso la vita su piattaforme di petrolio e gas. Per questo Amalie è rigorosa in ogni passaggio, anche in quelli più ripetitivi. È un impiego che richiede concentrazione, resistenza fisica e capacità di reagire sotto pressione. Ma nonostante la fatica e i rischi, la vita offshore ha anche lati vantaggiosi.
Vivere per due settimane a bordo significa condividere spazi e routine con decine di colleghi. Eppure, secondo Amalie, non c’è spazio per la noia. Le strutture sono pensate per riempire il tempo libero: palestra, sala Tv, sala giochi, un simulatore di golf, persino un laboratorio dove costruire coltelli. Non mancano un simulatore di caccia e la possibilità di pescare, anche se dopo un turno di lavoro molti preferiscono semplicemente riposare.
La vita sociale è intensa. Le piattaforme ospitano persone provenienti da diversi Paesi, con età ed esperienze molto diverse. La maggioranza è maschile, ma il contesto è descritto come inclusivo e collaborativo, anche perché la convivenza forzata richiede equilibrio e rispetto reciproco.
Quanto si guadagna?
Sono però i capitoli orario di lavoro e stipendio a chiarire perché questo lavoro, nonostante la fatica e i rischi, continua a essere particolarmente attrattivo.
Il sistema dei turni è semplice: due settimane in piattaforma, seguite da due settimane a terra. Un meccanismo che, sommato su base annua, porta a più di 250 giorni liberi, un privilegio raro in qualunque settore e che Amalie sfrutta per viaggiare, studiare e dedicarsi a ciò che normalmente si rimanda per mancanza di tempo.
La retribuzione fissa non è altissima, ma nelle piattaforme è solo una parte del totale. A incidere davvero sono le indennità di turno, i compensi per le ore notturne e soprattutto le maggiorazioni per la permanenza offshore, riconosciute proprio perché si tratta di un lavoro che richiede concentrazione e capacità di agire in un ambiente complesso e isolato. Sommando tutto, la paga annuale può arrivare a 1 milione di corone norvegesi che al cambio attuale equivale a poco meno di 850 mila euro.
Una cifra che cambia prospettive, soprattutto per chi è all’inizio della carriera o vuole costruirsi rapidamente una solida base economica. Amalie lo definisce senza mezzi termini un lavoro “che ti apre il mondo”. Non è però per tutti, ma per chi ha lo spirito giusto può trasformarsi in una delle esperienze più formative in assoluto.
Perché in pochi vogliono farlo e quali sono i requisiti
Nonostante gli stipendi elevati e i lunghi periodi di riposo, il lavoro offshore continua ad attirare poche persone. È una professione che richiede molto, sia sul piano fisico che mentale, e non tutti sono pronti ad affrontare un contesto così particolare.
Per iniziare servono competenze tecniche specifiche, spesso maturate in percorsi legati all’ingegneria, alla meccanica, alla chimica o alla gestione degli impianti. Le aziende chiedono certificazioni sulla sicurezza, corsi antincendio, addestramento per operare in ambienti isolati e la capacità di reagire rapidamente in caso di emergenza.
Il punto più difficile, però, non riguarda le competenze: è la vita stessa sulla piattaforma. Per due settimane si vive lontano da casa, senza possibilità di uscire o cambiare ambiente. Il maltempo può bloccare gli spostamenti, costringendo a rimanere in mare anche più a lungo del previsto. È un lavoro che richiede disciplina e capacità di adattarsi, capacità che non hanno tutti.
Il risultato è che, nonostante le ottime retribuzioni, il settore fatica a trovare nuovi profili. Un paradosso che Amalie sottolinea spesso nei suoi video: “Non è un lavoro impossibile”, racconta, “ma devi davvero volerlo”.
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