Il Giappone cambia tutto, vuole tornare a essere un grande esportatore di armi

Alessandro Nuzzo

18 Giugno 2025 - 21:01

Addio alla politica di disarmo sostenuta da decenni. Le tensioni geopolitiche costringono il Giappone a rivedere i suoi piani per la difesa.

Il Giappone cambia tutto, vuole tornare a essere un grande esportatore di armi

Il Giappone sta cercando di tornare protagonista nel campo dell’industria bellica e si prepara a esportare nuovamente le armi prodotte. Si tratta di un cambiamento epocale, dettato anche dalle recenti tensioni geopolitiche e da una stabilità mondiale ormai sempre meno garantita.

Dopo la seconda guerra mondiale, il Giappone ha adottato una politica di disarmo portata avanti per decenni. In particolare, il Paese si è rifiutato di esportare le proprie armi all’estero. Ora, però, sembra intenzionato a cambiare rotta.

I segnali arrivano anche dalla politica. Il ministro della Difesa Nakatani ha difeso sulla stampa giapponese la volontà di rafforzare le esportazioni di armamenti. Il primo ministro Ishiba ha partecipato alla DSEI Japan, una fiera internazionale dedicata alle armi e alla difesa: una notizia significativa, poiché si tratta del primo capo di governo giapponese a farlo.

Il Giappone apre alle esportazioni di armi

Questo dimostra come, a livello governativo, l’attenzione verso lo sviluppo dell’industria bellica stia mutando. La dottrina pacifista adottata dopo la seconda guerra mondiale aveva relegato le armi prodotte dall’industria interna esclusivamente all’equipaggiamento nazionale. Solo i trasferimenti di tecnologia verso gli Stati Uniti erano consentiti e considerati sicuri. L’ultimo report del SIPRI (Stockholm International Peace Research Institute), datato 2024, ha reso noto che solo lo 0,1% delle vendite globali di armi è attribuibile al Giappone, contro il 3,3% della Corea del Sud e il 3,9% della Cina.

Dal 2013, su iniziativa dell’ex premier Abe, il Giappone ha promosso il concetto di «contributo proattivo al mantenimento della pace», basato sullo sviluppo dell’interoperabilità tra gli equipaggiamenti giapponesi e quelli delle forze armate alleate. Negli ultimi dieci anni, Tokyo ha allineato i propri sistemi militari a quelli dei partner occidentali e avviato programmi di addestramento congiunto, rafforzando così la cooperazione operativa.

Tuttavia, c’è un problema. Rifiutandosi per anni di esportare tecnologie e competenze in ambito militare, le attrezzature giapponesi sono rimaste indietro: molti esperti le definiscono persino «pessime». Questa arretratezza ha costretto il Giappone ad affidarsi agli equipaggiamenti statunitensi per sviluppare la propria base difensiva, acquistando ad esempio i caccia F-35 e i radar SPY-7.

Una cooperazione che ora rischia di ritorcersi contro. In vent’anni, il Giappone ha perso circa 100 aziende del settore bellico che, non potendo esportare, hanno progressivamente perso mercato e attrattiva internazionale. Le tensioni geopolitiche e l’approccio più bellicista degli Stati Uniti, inoltre, rendono oggi più difficile per Washington continuare a esportare mezzi e tecnologie militari come in passato.

Alla luce di tutto ciò e del crescente clima di insicurezza globale, il Giappone ha deciso di tornare a investire nella propria industria bellica e di riaprire all’export di armi, forte anche dell’aumento della domanda innescato dalla corsa al riarmo di molti Paesi.

Ad esempio, la Germania, tradizionalmente restia al potenziamento del proprio arsenale, ha revocato il blocco del debito per aumentare la spesa in difesa. Il Regno Unito ha stanziato 1,5 miliardi di sterline per la costruzione di nuove fabbriche di munizioni, nell’ambito di un piano più ampio da 15 miliardi destinato a rafforzare le capacità militari. A livello comunitario, l’Unione Europea ha lanciato il programma «ReArm Europe», con l’obiettivo di rafforzare, entro il 2030, le capacità difensive dell’Unione.

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# Guerra

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