Fare causa allo Stato: come, quando e perché

Francesca Nunziati

20 Luglio 2022 - 18:18

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Le cause contro lo Stato hanno una disciplina particolare e dei requisiti di forma e sostanza diversi dai semplici giudizi civili e penali. Entrano in gioco aspetti diversi.

Fare causa allo Stato: come, quando e perché

La notifica di qualunque atto da eseguirsi nei confronti di un’amministrazione dello Stato deve essere fatta in persona del Ministro in carica competente, mediante consegna della copia presso l’ufficio dell’Avvocatura nel cui distretto ha sede l’ufficio giudiziario dinanzi al quale è promossa la causa.

L’ Avvocatura dello Stato è composta da giuristi assunti esclusivamente mediante un pubblico concorso (estremamente selettivo), che rappresenta e difende in giudizio principalmente, anche se non esclusivamente, gli enti dell’amministrazione centrale dello Stato e, più in generale, tutti i poteri dello Stato quando vengono chiamati in giudizio innanzi a organi che svolgono una funzione giurisdizionale.

Pertanto bisognerà sempre notificare anche all’avvocato dello Stato l’eventuale ricorso. Se ne è occupata di recente la Cassazione stabilendo che la notificazione dell’atto introduttivo di un giudizio eseguita direttamente all’Amministrazione dello Stato e, non presso l’Avvocatura distrettuale dello Stato, nei casi nei quali non si applica la deroga alla regola di cui al Regio Decreto del 30 ottobre 1933, n. 1611, secondo quanto espressamente previsto da tale disposizione, è affetta da nullità e non anche da inesistenza.

La conseguenza sarà diversa a seconda che l’amministrazione si costituisca o meno. Infatti, nel primo caso dovrà essere la parte che ha errato nella notifica a chiedere la rinnovazione.

Invece, nel secondo caso, la costituzione in giudizio dell’Amministrazione sanerà l’errore nella fase introduttiva ed il giudizio potrà proseguire.

Il ricorso individuale alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo

La Corte europea dei diritti dell’uomo è stata istituita nel 1959 dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) del 1950.

È un organismo di giustizia internazionale al quale si possono proporre ricorsi contro uno Stato che viola i diritti garantiti dalla Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo (nonché dai Protocolli N. 1, 4, 6 e 7). Non è un’istituzione dell’Unione Europea benché vi aderiscano 47 membri del Consiglio d’Europa.

La Corte è competente oltre che per ricorsi individuali anche per i ricorsi da parte degli Stati contraenti per la violazione di una delle disposizioni della Convenzione o dei suoi protocolli. Questi ultimi, tuttavia, sono molto rari.

La Corte si compone di cinque sezioni, all’interno di ognuna delle quali vi sono dei comitati di tre giudici, che hanno il compito di esaminare in via preliminare le questioni sottoposte alla Corte e alle camere composte da sette giudici che risolvono in via ordinaria i casi presentati davanti alla Corte.

La Grande Camera, formata dal presidente della Corte e da diciassette membri, esamina i casi complessi.

Oggetto del risorso

I diritti per la cui violazione può proporsi ricorso sono sintetizzati nell’elenco contenuto nel Titolo I della Convenzione: il diritto alla vita, il divieto di tortura, il divieto di schiavitù e dei lavori forzati, il diritto alla libertà e alla sicurezza, il diritto ad un equo processo, il principio del nullum crimen sine lege, il diritto al rispetto della vita privata e familiare, le libertà di pensiero, coscienza, religione, espressione, riunione e associazione, il diritto di sposarsi, il diritto ad un ricorso effettivo davanti ad un’istanza nazionale, il divieto di discriminazione, il divieto di abuso dei diritti.

I termini per proporre ricorso

L’art. 35 della Convenzione, ammette il ricorso alla Corte europea solo dopo che siano state esaurite le forme di ricorso nazionali e, comunque, entro e non oltre sei mesi dal giorno della decisione definitiva assunta dall’autorità nazionale a meno che non si tratti di denuncia per eccessiva durata della procedura

La modalità di inoltro del ricorso

L’interessato, anche senza particolari formalità e senza l’assistenza di un avvocato, può inviare una lettera raccomandata all’indirizzo: Corte Europea dei Diritti dell’Uomo Consiglio D’ Europa -F-67075 Strasbourg Cedex Francia.

La lettera può essere scritta in italiano e deve contenere:

  • indicazione dei diritti garantiti dalla Convenzione che si ritengono violati dallo Stato;
  • Indicazione delle decisioni della pubblica autorità che hanno comportato un danno con la data e il nome dell’autorità che le ha emesse;
  • eventuali fotocopie di documenti (che non saranno restituiti).

La Corte nel rispondere invia un formulario del ricorso da redigere e da spedire in triplice copia entro sei settimane dal ricevimento della comunicazione (anche se in genere vengono accettati anche i ricorsi presentati successivamente alla scadenza del termine).

Il ricorso può essere dichiarato irricevibile da un «giudice unico», con una decisione definitiva e con conseguente cancellazione dal ruolo. Le domande non compatibili con la Convenzione o manifestamente infondate sono dichiarate irricevibili.
Sono rigettate le domande anonime e quelle già esaminate che non contengono fatti nuovi.

Regolamento Corte Europea per presentazione ricorso
Le linee guida per presentare un ricorso dinanzi la Corte Europea

Il procedimento

Se la Corte dichiara ricevibile il ricorso, diviene obbligatorio l’uso del francese o dell’inglese. Si può tuttavia chiedere autorizzazione all’uso dell’italiano. È necessaria la nomina di un legale abilitato all’esercizio della professione forense in uno dei Paesi contraenti ed è previsto un sistema di gratuito patrocino per i non abbienti.

Gli effetti delle sentenze

Possono stabilire un risarcimento dei danni materiali e morali subiti dal ricorrente, attraverso la disposizione di "un’equa soddisfazione alla parte lesa" a carico del Paese che abbia violato la Convenzione.

La sentenza emessa dalla Gran Camera della Corte europea dei Diritti dell’Uomo è sempre definitiva. Invece, le sentenze pronunciate dalle singole Camere diventano definitive una volta scaduti i termini per l’impugnazione, vale a dire quando sono trascorsi tre mesi dalla pronuncia, senza che sia stato presentato un ricorso alla Gran Camera.

Le sentenze delle camere diventano definitive anche se il Collegio della Grande Camera respinge una richiesta di rinvio.
Le sentenze sono pubblicate e quelle di maggior interesse per la collettività sono tradotte e classificate secondo il diritto: Sentenze CEDU.

La causa Giudizio Universale

Non si può non parlare della prima grande class action contro lo Stato Italiano con la quale più di 200 ricorrenti, tra cui 162 adulti, 17 minori (rappresentati in giudizio dai genitori) e 24 associazioni impegnate nella giustizia ambientale e nella difesa dei diritti umani hanno deciso di intraprendere un’azione legale mai intentata prima in Italia.

Oggetto della causa è citare in giudizio lo Stato per inadempienza climatica, ovvero per l’insufficiente impegno nella promozione di adeguate politiche di riduzione delle emissioni clima alteranti, cui consegue la violazione di numerosi diritti fondamentali riconosciuti dallo Stato italiano.

La premessa su cui si basa “Giudizio Universale” è che le acquisizioni scientifiche condivise, proprio perché non controverse, vincolano gli Stati e costituiscono un parametro di verifica della loro condotta, sia a livello internazionale che nazionale.

Le principali obbligazioni climatiche che lo Stato è tenuto ad osservare derivano da fonti internazionali, regionali e nazionali, tra cui spiccano per rilevanza:

  • Accordi internazionali sul clima (tra cui UNFCCC – Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici del 1992 e Accordo di Parigi del 2015.
  • Fonti internazionali e regionali sui diritti umani (tra cui CEDU, Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, artt. 2 e 8)
  • fonti dell’Unione Europea (tra cui TFUE art.191 e Regolamento UE n.2018/1999)
  • Costituzione italiana (tra cui artt. 2 e 32)
  • Altre fonti di rango nazionale (tra cui Codice Civile, artt. 2043 e 2051)

L’azione legale è indirizzata allo Stato italiano, attraverso un atto di citazione davanti al Tribunale Civile di Roma. La richiesta formulata dall’azione riguarda la condanna dello Stato a realizzare un drastico abbattimento delle emissioni di gas serra per il 2030, in modo da centrare l’obiettivo dell’Accordo di Parigi sul clima, in ordine al contenimento massimo del riscaldamento globale entro 1,5°C e ad ogni modo ben al di sotto dei 2°C a fine secolo.

Nell’atto, si contesta la condotta illecita dello Stato, che non è riuscito a perseguire una politica climatica conforme alle acquisizioni scientifiche più avanzate. La causa legale non ha affatto un valore simbolico, ma mira ad ottenere un radicale cambiamento nelle politiche climatiche dello Stato, attraverso un deciso aumento delle ambizioni di riduzione e la garanzia di piena tutela dei diritti umani, in ottemperanza alle obbligazioni climatiche che lo Stato è tenuto a osservare per effetto della Costituzione, degli accordi internazionali e delle norme di rango nazionale.

L’Atto di citazione nello specifico contiene:

  • l’inquadramento dei problemi climatici e della grave e preoccupante condizione planetaria di emergenza climatica, accertata dalla comunità scientifica mondiale e dichiarata anche dalla UE e dall’Italia;
  • la descrizione della specifica condizione di vulnerabilità e fragilità del territorio italiano;
  • la disamina delle fonti giuridiche da cui derivano le obbligazioni climatiche, che lo Stato deve rispettare;
  • il catalogo dei diritti fondamentali, a partire dal diritto umano al clima stabile e sicuro, altrimenti violati dall’emergenza climatica;
  • l’inquadramento della responsabilità climatica dello Stato in base al Codice civile italiano;
  • le richieste al giudice.

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