Ex Ilva, assolto Fabio Riva dal processo per bancarotta

Mario D’Angelo

06/07/2019

06/07/2019 - 00:08

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Fabio Riva, figlio di Emilio, è stato assolto nell’ambito del processo sul crac della holding che controllava l’impianto siderurgico, poi passato ad ArcelorMittal

Ex Ilva, assolto Fabio Riva dal processo per bancarotta

“Il fatto non sussiste” per Fabio Riva, uno dei membri della dinastia ex proprietaria dell’Ilva di Taranto, poi passata ai lussemburghesi di ArcelorMittal. Riva, assistito dall’avvocato Salvatore Scuto, è stato assolto stamane dal gup milanese Lidia Castellucci nell’ambito del processo con rito abbreviato per due accuse per la bancarotta fraudolenta della società che controllava il gruppo siderurgico. Adesso nulla impedirebbe anche al fratello Nicola di chiedere la revisione del giudizio, che ha già patteggiato 3 anni nel febbraio 2018.

Su Fabio Riva, ricordiamo, pende tuttora la condanna definitiva per associazione a delinquere e truffa a 6 anni e 3 mesi di reclusione per aver acquisito illecitamente 100 milioni di euro, dal 2008 al 2013.

Ilva, assolto Fabio Riva

Sia Fabio Riva che il fratello Nicola avevano visto bocciata la loro richiesta di patteggiamento nel febbraio 2017. Una seconda bocciatura delle richieste di patteggiamento, rispettivamente a 5 e 2 anni, era avvenuta nell’ottobre dello stesso anno da parte dell’allora gup Chiara Valori perché la pena era stata ritenuta incongrua. Questo avveniva nell’ambito del filone d’indagine principale dell’inchiesta milanese.

Infine, nel febbraio 2018, Nicola Riva aveva scelto di patteggiare 3 anni, mentre Fabio aveva optato per la via del processo abbreviato. Precedentemente, nel maggio 2017, aveva patteggiato 2 anni e sei mesi Adriano Riva, zio dei due fratelli e fratello di Emilio, il patron del gruppo siderurgico scomparso nel 2014.

Il patteggiamento di Adriano Riva, ora deceduto, era arrivato dopo la firma della rinuncia agli 1,2 miliardi di euro sequestrati sempre nell’ambito dell’inchiesta sul crac della holding. I soldi erano stati individuati dalla procura in alcuni trust sull’isola di Jersey, nel canale della Manica.

Tale somma, cui vanno aggiunti gli altri 230 milioni di euro versati direttamente dalla famiglia, è stata in seguito in larga parte destinata alla bonifica ambientale della zona in cui sorge lo stabilimento di Taranto.

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