Euro si, euro no: c’è la Cina! ma anche la Norvegia!

Luca Pezzotta

24 Giugno 2014 - 12:00

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Perché sostenere sic et simpliciter che «c’è la Cina» non è una buona argomentazione economica nella discussione sulla permanenza dell’Italia o meno nell’Eurozona.

Euro si, euro no: c’è la Cina! ma anche la Norvegia!

Uno degli argomenti ultimamente più dibattuti su social network, siti, blog, ma anche sulla carta stampata ed in alcune trasmissioni televisive, riguarda la permanenza dell’Italia nella moneta unica e/o Euro-zona. Ovviamente, nello svolgersi del dibattito, alcune volte anche molto acceso, i sostenitori dell’uscita dell’Italia dall’euro prospettavano una serie di vantaggi, così come chi si opponeva a questa uscita ne paventava gli svantaggi. Senza prendere ora in considerazione i vantaggi o, se si vuole essere più moderati, gli eventuali vantaggi, si vorrebbe focalizzare l’attenzione sugli svantaggi che venivano delineati e su uno di questi in particolare: la Cina! La cui sola presenza ci avrebbe tout court “sbaragliato”.

Infatti uno dei leitmotiv in risposta a chi propugnava l’uscita dell’Italia dall’euro era che una economia delle dimensioni di quella italiana non poteva competere sul mercato, ormai globale, con economie di dimensioni maggiori come, per esempio, quella cinese: “c’è la Cina!”, era quello che si sentiva ripetere. Naturalmente, in questo caso e con il presente articolo, non si tratta di prendere in considerazione una posizione su un argomento come la permanenza dell’Italia nell’euro o no – argomento ben più ampio di un solo e semplice articolo – ma valutare l’efficacia del “deterrente” cinese contro le argomentazioni, appunto, di chi avrebbe preferito l’Italia fuori dalla moneta unica.

Per fare questo, oltre che partire da un paio di semplici considerazioni, prenderemo come riferimento principale una economia molto più piccola di quella cinese ed anche di quella italiana; e precisamente quella norvegese. Sostanzialmente perché se un’economia come quella italiana non può rimanere al di fuori della zona euro, tanto meno potrà farlo un’economia di dimensioni addirittura inferiori e che non fa nemmeno parte, tra l’altro, dell’Unione Europea. Ricordiamo proprio per sottolineare la differenza tra le due economie che la Norvegia ha poco più di 5 milioni di abitanti ed una superficie di 385.248 Km2, mentre la Cina ha più di 1.353 milioni di abitanti ed una superficie di 9.706.961 Km2; e non sono piccole differenze.

Detto questo, le semplici considerazioni potrebbero essere che per esempio il Giappone non è in una unione monetaria del genere di quella dell’euro, ha un debito molto più alto dell’Italia, ed ha fatto segnare una recente previsione di crescita del PIL di oltre il 6%, mentre il nostro PIL è in diminuzione. Il Regno Unito non è nell’eurozona e sta crescendo. Non sono nella moneta unica la Danimarca, la Svizzera, la Polonia, la Repubblica Ceca e nemmeno molte altre economie nel mondo che come PIL sono inferiori all’Italia (Canada, Australia, Messico, ecc. ecc.). Pertanto, potrebbe già sembrare abbastanza chiaro che esiste una “vita economica” anche fuori dall’unione monetaria; ma, considerato come il “mantra” sul pericolo “cinese” è stato ripetuto fino allo stremo, sembra opportuno rimarcare che supportare l’impossibilità per l’Italia di stare sul mercato, al di fuori di una unione monetaria, perché “c’è la Cina”, è frutto più di un ragionamento semplicistico di comodo che il risultato di una valutazione serena ed oggettiva della reale situazione economica.

La prima cosa che verifichiamo è il reddito pro capite di Cina e Norvegia. Le fonti, sulla quantità delle cifre, sono, in un certo senso, discordanti; ma in ogni caso confermano una differenza abissale. Infatti il PIL pro capite riportato dal Global Competitiveness Report del 2011 parla di un reddito pro capite in Norvegia di oltre 84 mila dollari, mentre in Cina siamo oltre i 4 mila (a valori correnti). Il World Development Indicators – i cui dati si possono trovare anche tramite Google Public Data – riporta un reddito procapite per la Norvegia di oltre 65 mila dollari e per la Cina di circa 3.300 (a valori costanti con il 2000 come anno di riferimento). Questi ultimi dati sono confermati nel grafico sotto riportato – dal sito Trading Economics che fornisce dati su indicatori economici e che, viste le differenti definizioni a volte utilizzate, è meglio incrociare con altre fonti come appena fatto - dove è vero che si nota una diminuzione del PIL pro capite in Norvegia (linea blu, scala di destra) tra il 2008 ed il 2012, rispetto alla costante crescita di quello cinese (linea nera scala di sinistra), ma questo non può inficiare il fatto che tra il PIL procapite norvegese e cinese ci sia una differenza abissale.

Per cui, nonostante la Norvegia sia fuori dalla moneta unica e anche dalla UE, la stessa ha un reddito procapite superiore sia a quello dell’Italia che della Cina; e pertanto non sembrerebbe soffrire il particolar modo la concorrenza della grande tigre asiatica o della mancanza di un’unione monetaria.

Valutiamo di poi il tasso di disoccupazione in Cina e Norvegia. I dati dell’World Economic Outlook (WEO da ora) del FMI parlano, per la Cina, di un tasso di disoccupazione nel 2000 del 3,1% e nel 2013 del 4,1%, quindi in lieve peggioramento; mentre per la Norvegia il tasso di disoccupazione è del 3,4% nel 2000 e del 3,5% nel 2013. Per cui, anche in questo caso, verificati i dati con diverse fonti riportiamo il grafico di una di esse.

Come si nota, ancora, il tasso di disoccupazione della Cina (linea nera, scala di sinistra) e quello della Norvegia (linea blu, scala di destra) sono più o meno simili, ma quello della seconda è, da dopo il 2006, leggermente inferiore. Anche nel caso del tasso di disoccupazione, pertanto, la Norvegia non sembra abbia nulla da invidiare alla potenza cinese e, quindi, tantomeno all’Italia.

Ancora, dopo il PIL procapite ed il tasso di disoccupazione valutiamo il rapporto debito/PIL. Ricordiamo che in rete giravano addirittura degli articoli che sostenevano che la Norvegia non avesse debito pubblico. Le cose non stanno proprio in questi termini. Lo WEO del FMI segnala un rapporto debito/PIL per la Norvegia nel 2000 del 28,4% e per la Cina del 16,4%; al 2013 la Norvegia ha un rapporto debito/PIL del 29,5% e la Cina del 22,4%. Quindi i dati del grafico che riportiamo sotto sembrano confermati anche dal WEO del FMI.

In questo caso vediamo che la Cina (linea nera, scala di sinistra) ha un rapporto debito/PIL di qualche punto percentuale inferiore a quello della Norvegia (linea blu, scala di destra), ma quest’ultimo resta comunque molto basso (29,5%). Inoltre, per quanto riguarda il debito, cerchiamo di valutare anche il debito estero. Nella accezione “comune”, molte volte si intende il debito estero come la parte di debito pubblico in mano a creditori stranieri; invece, con “external debt” si intende – come da “The World Factbook” della CIA che usiamo per la definizione e la verifica dell’external debt – il debito pubblico e privato detenuto da non residenti e ripagabile in moneta internazionalmente accettata, beni e servizi. Vediamo che la Cina (linea nera, scala di sinistra), come riportato nel grafico sotto, ha un debito estero in continuo aumento dal 2003 – confermato anche dai dati della World Bank – la Norvegia (linea blu, scala di destra) dal 2004 non ha più debito estero. Per l’external debt della Norvegia il riscontro è, come detto, nel World Factobook della CIA dove troviamo alla voce relativa appunto all’external debt, la nota: “Norway is a net external creditor”. Sottolineiamo che questo non vuol dire che la Norvegia non ha debito pubblico, bensì solamente che il suo debito pubblico non è detenuto da creditori esteri e che la Norvegia è un creditore estero netto.

Abbiamo perciò visto che la Norvegia fuori dall’unione monetaria, ed addirittura dalla UE, ha un PIL pro capite molto, molto, maggiore di quello cinese; un tasso di disoccupazione leggermente inferiore, un rapporto debito/PIL di qualche punto percentuale superiore ma non ha debito estero. Inoltre, riguardo agli indicatori presi in considerazione la Norvegia si piazza meglio, molto meglio, dell’Italia. Sembra pertanto che la Norvegia fuori dall’unione monetaria e dalla UE stia meglio dell’Italia all’interno delle stesse; ed anche meglio della Cina (salvo che mi vogliate dire che con il reddito procapite cinese si viva in Cina meglio che con il reddito procapite norvegese in Norvegia; io ne dubito).

Con questo non si vuole avallare l’idea che la panacea di tutti i mali sia l’uscita dell’Italia dall’euro o dall’Europa, o trarre da quanto esposto una prova “inconfutabile” per avallare la bontà delle tesi “no euro”; bensì solo sostenere che quando si affronta una discussione economica in un momento veramente delicato, in cui la cronaca parla di persone che perdono il lavoro e aziende che chiudono tutti i giorni ormai da anni, bisognerebbe cercare di portare, proprio per la delicatezza del tema, argomentazioni un po’ più serie che sostenere e ripetere semplicemente ed inopinatamente come un mantra :”c’è la Cina!”. C’è la Cina non vuol dire nulla economicamente; e qualcuno si potrebbe sentire autorizzato – e ne avrebbe ben d’onde visto quanto esposto - a rispondere altrettanto semplicisticamente che, si, c’è la Cina! ma anche la Norvegia! Per cui una discussione che passa attraverso una tale semplice asserzione (c’è la Cina!) non sembra essere un dibattito così ben impostato da potersi ritenere “economicamente” all’altezza dei problemi economici stessi che ci troviamo ad affrontare; ed il suo uso come deterrente è più il risultato di una tendenza a disinformare, oppure cercare di creare una sorta di allarme o sfruttare, “ingigantendola”, una ipotetica situazione di pericolo derivante dalla iper-concorrenzialità del mercato cinese, piuttosto che la determinazione di una valutazione serena ed oggettiva degli indicatori economici.

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