Errore di trasfusione: la responsabilità dell’infermiere

Vittorio Proietti

11 Aprile 2017 - 09:39

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La responsabilità dell’infermiere nell’errore di trasfusione è notevole, ma la buona prassi incentivata dalla Legge Gelli riduce il rischio di errore. Qui tutte le informazioni sulle linee guida.

Errore di trasfusione: la responsabilità dell’infermiere

L’errore di trasfusione è responsabilità del medico o dell’infermiere che lo causa, che pagherà civilmente e penalmente per la sua negligenza. La Legge Gelli approvata lo scorso 8 marzo restituisce una nuova luce al diritto alla salute sancito dalla Costituzione, oltre che una tutela più ampia dei pazienti.

La nuova Legge 24/2017, infatti, sottolinea che ogni paziente ha diritto alla sicurezza delle cure come elemento strutturalmente legato al citato diritto costituzionale. La condotta del medico o dell’infermiere deve essere ineccepibile e qualora avvengano irregolarità il professionista della Sanità dovrà pagarne le conseguenze.

Ciò rende necessario che sia garantita una prassi univoca e che le prestazioni sanitarie siano erogate dalle strutture private e pubbliche in completa trasparenza, ma soprattutto che seguano fedelmente le buone pratiche stilate dal Sistema Nazionale per le linee guida.

Vediamo il caso delle trasfusioni di sangue, quali possono essere gli errori e quali le buone pratiche da seguire per l’infermiere.

L’errore di trasfusione è omicidio colposo

I casi di errore di trasfusione sono sempre meno frequenti, tuttavia possono comunque verificarsi. Scambiare una sacca di sangue per un’altra per distrazione o per una cattiva organizzazione può causare la morte di un paziente e molti sono stati i medici e gli infermieri accusati di omicidio colposo per errori come questi.

La responsabilità civile in Sanità è infatti connessa con il diritto del paziente ad affidarsi a mani esperte e competenti, che abbiano una condotta professionale e che paghino per gli errori commessi qualora subentrino delle irregolarità.

Il contesto lavorativo sanitario non ammette errore proprio perché la prassi ha una sua giustificazione in termini di controllo e di riduzione del rischio. La negligenza va combattuta come fonte di malasanità e questo è il principio portante delle norme a tutela dei pazienti introdotte dalla Legge Gelli.

La buona prassi dell’infermiere nel processo di trasfusione

L’infermiere ha una specifica responsabilità nel predisporre e verificare l’adeguatezza del contesto in cui avviene il processo di trasfusione. La buona prassi prevede che l’infermiere stesso si faccia promotore di un controllo incrociato con il medico per ogni passaggio del processo trasfusionale.

Il controllo incrociato, infatti, permette di evitare il rischio di sostituzioni di sacche o confusioni di identità tra paziente. La presenza di due professionisti garantisce anche maggior controllo sullo stato dell’attrezzatura, nonché sulle condizioni di conservazione degli emo-componenti adoperati, ad esempio sulla data di scadenza.

Ogni paziente dovrà dare il suo pieno consenso all’acquisizione del sangue, poiché una violazione in questo senso, tranne in casi di pericolo grave e imminente per la vita, risulta illecita e può essere responsabilità dell’infermiere e del medico che lo ha consentito.

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