Divorzio consensuale: come procedere in maniera semplice

Marco Montanari

26 Novembre 2021 - 17:00

condividi

Il divorzio consensuale come metodo rapido per sciogliere il matrimonio: come procedere in maniera semplice quando i coniugi sono entrambi d’accordo.

Divorzio consensuale: come procedere in maniera semplice

Non sempre il divorzio presuppone il totale disaccordo della coppia su ogni aspetto della vita.

Non è raro vedere molte coppie mantenere, anche dopo la separazione personale, rapporti collaborativi, quanto meno su questioni di comune interesse.

Non a caso sono previsti strumenti “amichevoli” - sebbene pur sempre legali - affinché i coniugi possano, di comune accordo, ottenere lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio.

Oltre alla separazione consensuale, infatti, l’ordinamento prevede l’istituto giuridico del divorzio consensuale, considerato il metodo più rapido per far cessare un matrimonio: vediamo, di seguito, quali tipologie ne esistono e come procedere in maniera semplice quando si è entrambi d’accordo sulla volontà di divorziare.

Separazione e divorzio: quanto attendere?

Prima condizione per ottenere il divorzio è, ovviamente, il fatto che i coniugi siano già separati.

Sotto questo profilo possiamo distinguere due tipologie di separazione:

  • la separazione consensuale, che si ha quando i coniugi di comune accordo decidono di separarsi (in Tribunale, in Comune o tramite negoziazione assistita);
  • la separazione giudiziale in Tribunale, per tutte le ipotesi in cui i coniugi siano in disaccordo sul fatto di separarsi.

In entrambi i casi, il risultato che si ottiene con la separazione è quello di sospendere alcuni effetti del matrimonio, ovvero:

  • la comunione dei beni;
  • l’obbligo di coabitazione;
  • l’obbligo di reciproca fedeltà;
  • l’obbligo di assistenza morale e di collaborazione (se non per curare gli interessi della prole).

Tuttavia, i coniugi si considerano ancora tali finché il vincolo matrimoniale non venga definitivamente sciolto attraverso il divorzio.

Ebbene, una volta ottenuta la separazione, quanto è necessario attendere prima di poter chiedere il divorzio?

I tempi di attesa variano a seconda dei casi. Il termine infatti è di:

  • 6 mesi in caso di separazione consensuale;
  • 12 mesi in caso di separazione giudiziale.

Tali termini iniziano a decorrere dal giorno dell’udienza di comparizione tenutasi davanti al Presidente del Tribunale.

Se invece la separazione consensuale è avvenuta:

  • in Comune, davanti all’Ufficiale di Stato civile;
  • in sede di negoziazione assistita,

il termine di 6 mesi decorre:

  • nel primo caso, dalla data certificata dell’accordo di separazione raggiunto in sede di negoziazione;
  • nel secondo caso, dalla data dell’atto di separazione stipulato in Comune.

Le procedure di divorzio consensuale

Una volta decorso il tempo necessario per poter chiedere il divorzio, esistono diverse possibilità per raggiungere tale risultato.

Come per la separazione, bisogna prima di tutto distinguere tra:

  • divorzio consensuale (o congiunto);
  • divorzio giudiziale.

Mentre la seconda forma di divorzio implica necessariamente l’intervento del Tribunale, poiché riguarda le ipotesi in cui non vi sia accordo, tra i coniugi, sulla volontà di divorziare; nel primo caso (il divorzio consensuale), è possibile percorrere diverse strade:

  1. la domanda di divorzio congiunto in Tribunale;
  2. la procedura in sede di negoziazione assistita;
  3. il divorzio presso il Comune davanti all’Ufficiale di Stato civile.

Rispetto al divorzio giudiziale, le tre soluzioni da ultimo indicate appaiono senza dubbio preferibili: esse presuppongono l’accordo dei coniugi; di conseguenza, consentono di evitare un contenzioso lungo e dispendioso davanti al giudice.

Ma esaminiamole nel dettaglio.

1) Il divorzio congiunto in Tribunale

Il divorzio congiunto (o “domanda congiunta di divorzio”) è quel procedimento giudiziario attraverso il quale i coniugi separati, di comune accordo, stabiliscono preventivamente le condizioni di divorzio per sottoporle al Tribunale affinché le valuti e le “recepisca” nella sentenza di divorzio.

In particolare, l’articolo 4 della Legge sul divorzio (L. 1 dicembre 1970, n. 898) prevede che la domanda congiunta dei coniugi di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, che indichi anche compiutamente le condizioni inerenti alla prole e ai rapporti economici, è proposta con ricorso al Tribunale del luogo di residenza o domicilio di uno dei coniugi.

La domanda di divorzio è quindi presentata dai coniugi con un ricorso congiunto predisposto da un avvocato, la cui assistenza è obbligatoria.

L’avvocato può essere unico per entrambi i coniugi (con considerevole risparmio di spese legali); in alternativa, ciascun coniuge può decidere di farsi assistere dal proprio avvocato di fiducia.

Al ricorso devono essere allegati i seguenti documenti:

  • l’atto di matrimonio;
  • il certificato di stato di famiglia;
  • il certificato di residenza di entrambi i coniugi;
  • la copia autentica del verbale o della sentenza di separazione;
  • la nota di iscrizione a ruolo (predisposta dall’avvocato).

È prevista un’udienza davanti al Presidente del Tribunale dove, sentiti i coniugi, verificata l’esistenza dei presupposti di legge e valutata la rispondenza delle condizioni all’interesse dei figli, il giudice decide con sentenza.

Durante la stessa udienza, inoltre, il giudice tenterà la conciliazione delle parti vagliando la possibilità che vi siano ripensamenti.

Tuttavia, qualora il Tribunale ritenga le condizioni di divorzio non accoglibili in quanto contrarie all’interesse dei figli, il procedimento proseguirà con una successiva fase istruttoria, preceduta dall’adozione dei provvedimenti temporanei e urgenti ritenuti opportuni nell’interesse dei coniugi e dei figli.

In quest’ultima ipotesi, dunque, il procedimento di divorzio congiunto rischia di comportare ulteriori costi e lungaggini, pur rimanendo preferibile alla procedura di divorzio giudiziale.

Ma esistono, come detto, altre ipotesi di divorzio consensuale, potenzialmente più economiche e rapide del divorzio congiunto in Tribunale: vediamo quali.

2) Il divorzio tramite negoziazione assistita

La negoziazione assistita (D.L. n. 132/2014) è un procedimento stragiudiziale dove i coniugi, assistiti dai rispettivi legali, convengono di collaborare con buona fede e lealtà per raggiungere, in via amichevole, un accordo di divorzio.

Il procedimento si articola in due fasi:

  • una prima fase, dove i coniugi si accordano sulle condizioni di divorzio assistiti dai rispettivi difensori;
  • una seconda fase, dove il Procuratore della Repubblica verifica la regolarità della procedura seguita, eseguendo controlli diversi a seconda della presenza o meno di figli minori, incapaci o non autosufficienti.

La prima fase prende avvio con l’invito a stipulare una convenzione di negoziazione assistita (generalmente spedito a mezzo posta raccomandata a/r), rivolto a uno dei coniugi da parte dell’altro.

In caso di accettazione dell’invito, le parti, con l’ausilio obbligatorio dei loro legali, stipulano una convenzione di negoziazione assistita con la quale vengono stabilite le regole da rispettare durante la procedura.

Tale procedura non può avere una durata inferiore a un mese e superiore a tre, prorogabili di ulteriori trenta giorni su accordo delle parti.

Una volta terminata la procedura di negoziazione, se le parti non hanno raggiunto un accordo, viene redatta una dichiarazione di mancato accordo.

In caso, invece, di esito positivo della negoziazione, verrà redatto un accordo conclusivo, contenente:

  • i dati anagrafici dei coniugi;
  • le condizioni di divorzio;
  • la sottoscrizione dei coniugi;
  • la certificazione di autenticità delle sottoscrizioni;
  • la certificazione di conformità dell’accordo alle norme imperative, al buon costume e all’ordine pubblico (entrambe le suddette certificazioni sono eseguite dagli avvocati).

Si passa, successivamente, alla seconda fase, che può subire delle variazioni a seconda della presenza o meno di figli minori, incapaci o non autosufficienti; pertanto:

  • in caso di loro presenza, una copia dell’accordo di divorzio deve essere inviata, entro i successivi 10 giorni, al Procuratore della Repubblica, che valuterà se le condizioni in esso stabilite non siano pregiudizievoli per i figli;
  • in caso di assenza, l’accordo deve essere comunque inviato al Procuratore della Repubblica, il quale si limiterà, però, a verificare la regolarità della procedura nonché a rilasciare il suo nulla osta.

Una volta ottenuta l’autorizzazione o il nulla osta del magistrato, l’accordo sarà trasmesso per la trascrizione all’Ufficio dello Stato civile del Comune dove è stato celebrato il matrimonio.

Secondo la legge, esso produce gli stessi effetti della sentenza di divorzio (art. 6, D.L. n. 132/2014).

Questa procedura è senz’altro più agevole rispetto a quelle già viste: in presenza di una volontà comune di divorziare, sarà sufficiente per i coniugi rivolgersi ai rispettivi legali, i quali si faranno carico degli adempimenti necessari per ottenere il divorzio, senza dover necessariamente ricorrere all’intervento del Tribunale (a eccezione di alcuni casi limitati).

Esiste, però, una strada ancora più semplice ed economica per ottenere il divorzio consensuale: esaminiamola di seguito.

3) Il divorzio consensuale in Comune

Si tratta della procedura più snella ed economica per i coniugi che vogliano divorziare.

Essa, infatti, non comporta la necessaria presenza di un avvocato, essendo consentito ai coniugi di ricorrervi autonomamente (risparmiando, quindi, sui costi di assistenza legale).

Questa procedura è tuttavia preclusa alle coppie che abbiano figli minori, figli maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave oppure economicamente non autosufficienti.

Non è d’ostacolo, invece, l’eventuale presenza di figli minori, portatori di handicap grave, maggiorenni incapaci o economicamente non autosufficienti non comuni, ma di uno soltanto dei coniugi.

L’accordo di divorzio raggiunto con queste modalità, inoltre, non può contenere patti di trasferimento patrimoniale (come, ad esempio, accordi sul trasferimento di somme di denaro o sull’assegnazione di beni tra le parti).

Secondo l’articolo 12, D.L. n. 132/2014, in coniugi possono concludere, davanti al Sindaco (quale Ufficiale dello Stato civile) del Comune di residenza di uno di loro o del Comune dove è iscritto o trascritto l’atto di matrimonio, un accordo di divorzio.

Ma come funziona in pratica?

La documentazione necessaria e le modalità di trasmissione possono subire leggere variazioni a seconda del Comune interpellato.

In linea di massima, i coniugi devono anzitutto presentare al Comune una domanda di appuntamento, sottoscritta da entrambi, allegando:

  • fotocopia dei documenti di riconoscimento in corso di validità per entrambi i coniugi;
  • copia autentica del verbale di separazione consensuale con omologa (in caso di precedente separazione consensuale);
  • sentenza di separazione personale passata in giudicato (in caso di precedente separazione giudiziale);
  • oppure, copia autentica di accordo raggiunto a seguito di negoziazione assistita della separazione consensuale.

Tale domanda, normalmente redatta su appositi moduli forniti dal Comune, può essere presentata direttamente presso gli sportelli dedicati o, più comodamente, tramite posta elettronica certificata (p.e.c.).

Gli stessi documenti dovranno poi essere esibiti all’Ufficiale di Stato civile in sede di appuntamento.

Inoltre, i coniugi devono rendere una dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà e una autocertificazione, relative a:

  • assenza di figli in comune minorenni, maggiorenni economicamente non autosufficienti o incapaci o portatori di handicap grave;
  • luogo e data del matrimonio con relativo numero di atto, parte e serie dell’iscrizione o trascrizione, solo se il matrimonio non è stato celebrato nello stesso Comune.

In sede di appuntamento l’atto contenente l’accordo è compilato e sottoscritto immediatamente dopo il ricevimento, da parte dell’Ufficiale di Stato civile, delle dichiarazioni di entrambi i coniugi di voler “far cessare gli effetti civili del matrimonio o ottenerne lo scioglimento secondo condizioni tra di essi concordate” (art. 12, cit.).

Trascorsi 30 giorni dalla presentazione delle dichiarazioni, le parti dovranno nuovamente recarsi in Comune per confermare l’accordo: la mancata comparizione in Comune equivale a mancata conferma dell’accordo, che perderà così ogni valore.

Se, invece, le parti compaiono e confermano l’accordo, esso diventerà esecutivo a tutti gli effetti di legge e sarà, dunque, equiparato alla sentenza di divorzio.

L’Ufficiale di Stato civile provvederà alla successiva iscrizione nel registro dello Stato civile.

Quanto ai costi, è previsto il versamento di un diritto fisso pari a 16,00 euro.

Argomenti

# Legge

Iscriviti a Money.it