Definisci bambino, cosa significa e cosa dice la legge a riguardo?

Ilena D’Errico

21 Settembre 2025 - 23:48

Proviamo a definire davvero un bambino secondo legge e usi, ma chiediamoci anche a cosa serva.

Definisci bambino, cosa significa e cosa dice la legge a riguardo?

Definisci bambino” si è sentito rispondere Enzo Iacchetti dal presidente della federazione Amici d’Israele, Eyal Mizrahi, in risposta al richiamo dell’attore sulle giovanissime vittime di Gaza. Entrambi ospiti a Cartabianca sono stati protagonisti di un dibattito acceso, tanto colorito e furente da non lasciare al pubblico nessuna informazione, nessuno spunto di riflessione, nessuna conoscenza in più rispetto a prima. Ma questa frase, che nasconde ben più di un’uscita infelice, si è immediatamente scolpita nella sensibilità comune.

C’è chi prova a leggere nella freddezza granitica di Mizrahi il tentativo maldestro di difendere le ragioni israeliane dalla strumentalizzazione delle vittime. Chi delle vittime, invece, vede un annullamento profondo e ideologico tale da annichilire le coscienze. Ma se anche nessuno può davvero sapere quale fosse l’intenzione di Mizrhai, che la risposta di Iacchetti, genuina e venale ma a dir poco caotica non ha potuto mettere in luce, tutti dovrebbero prendere atto del fatto che una frase del genere è inaccettabile. E anche se così non fosse, cadrebbe comunque nel vuoto.

I bambini morti a Gaza sono bambini, anche se doloroso da accettare, da qualsiasi prospettiva si voglia guardare la vicenda.

Definire un bambino secondo la legge

La legge non ha una vera e propria definizione di bambino, né in Italia né all’estero. Questo termine viene utilizzato in tutto il mondo, con le opportune variazioni di lingua, per indicare l’età compresa dalla nascita all’inizio della pubertà. La sensibilità, la cultura, la religione e le tradizioni influenzano notevolmente la percezione collettiva, con maggiori differenze al salire dell’età.

Nessuno può tuttavia negare la definizione di bambino a qualsiasi essere umano non completamente sviluppato dal punto di vista fisico, emotivo e cerebrale, non autosufficiente e dipendente dalle cure adulte per i bisogni primari. La legge prevede comunque diverse età rilevanti nel corso della vita degli individui, riconoscendo loro un crescente grado di autonomia e capacità di autodeterminazione.

Guardando all’Italia, si comincia dai 14 anni con l’età del consenso e si finisce a 18 con la maggiore età. Fasce simili si hanno anche in altre parti del mondo, con le dovute eccezioni. Per la lingua italiana non ci sono dubbi, dal dizionario Treccani bambino vuol dire:

L’essere umano nell’età compresa tra la nascita e l’inizio della fanciullezza.

Ma per capire meglio bisogna addentrarsi in uno dei capitoli più bui della storia dell’umanità, quello tristemente attuale dei bambini soldato. Guardando ad Hamas, che fa ampio ricorso alle piccole milizie, i più giovani nei battaglioni hanno circa 14 anni, secondo le fonti israeliane. Sapendo questo l’affermazione del leader di Amici d’Israele sembrerebbe priva di senso, ma bisogna spezzare una lancia in suo favore, o meglio a favore della verità. Hamas non manca di utilizzare impunemente bambini molto più piccoli, kamikaze, scudi umani, mezzi sacrificabili per qualsiasi scopo necessario a portare avanti il conflitto.

La morte di un bambino soldato è ingiusta e brutale, ma non si può stigmatizzare il fronte nemico come se avesse colpito deliberatamente degli obiettivi civili. La morte dei bambini in guerra è riprovevole e dolorosa, ma non può essere utilizzata a favor di propaganda dell’una o dell’altra parte. L’attacco deliberato a obiettivi civili, come pure il loro coinvolgimento da parte delle milizie interne, è una violazione del diritto umanitario e internazionale, tanto più grave quando coinvolge dei bambini.

Si può quindi discutere delle responsabilità, estrapolare i fatti da qualsiasi forma di strumentalizzazione, parlare degli orrori della guerra e della tanto citata collateralità, ma non si può privare la morte dei bambini della sua gravità. La morte è sempre sofferenza e devastazione, ma quella dei più piccoli è una sconfitta per l’umanità, indipendentemente dalle mani su cui ricade il sangue versato.

I bambini sono futuro, speranza e innocenza, non futura carne da macello per una causa come vuole vederli chi li arruola e chi li abbatte senza batter ciglio. Israele può incolpare Hamas delle perdite subite dai palestinesi più piccoli, invitare l’opinione pubblica a separare la moralità dagli razionali sviluppi di una guerra - per quanto “razionale” sia un aggettivo che mal si concilia con qualsiasi massacro - ma non può far passare la morte dei bambini con tale leggerezza.

Soprattutto, non può farlo cercando di togliere loro ciò che li caratterizza come vittime. Ci sono bambini meno bambini di altri? Esseri umani meno esseri umani? La distorsione di un simile pensiero sappiamo già a quali terribili conseguenze può portare e che arrivi dal popolo ebraico non fa che accentuarne la stortura.

Definisci bambino: come negare le vittime

Se proprio se ne vuole fare una questione di semantica, definire un bambino come se qualche mese all’anagrafe o le circostanze potessero togliere gravità alle morti, proviamoci. La legge non dice chi è un bambino, ma in Italia prevede regole speciali per tutti i minori sotto i 14 anni, che infatti non possono fare alcunché da soli. Il limite è all’incirca questo nei Paesi dove i diritti umanitari e dell’infanzia valgono ancora qualcosa. Tra i crimini di guerra più gravi troviamo per esempio il coinvolgimento di persone sotto i 15 anni di età tra le proprie fila.

Di fatto, quelli morti a Gaza sono bambini a tutti gli effetti, checché se ne voglia dire. E dall’Israele non arriva certo una concezione particolarmente dura dell’infanzia. La tradizione e la religione ebraica, fortemente presenti nell’ordinamento giuridico, prevedono due soglie importanti per i più piccoli. Il bar mitzvah per i maschi a 13 anni e 1 giorno e il bat mitzvah per le femmine a 12 anni e 1 giorno, segnano il passaggio alla maturità e la responsabilità nei confronti della legge ebraica. Prima di quest’età gli ebrei sono tutelati anche dalla responsabilità religiosa, entro certi limiti.

Ci stiamo quindi raccontando che l’età della fanciullezza cambia per i palestinesi perché vivono e crescono diversamente? Già spostare l’attenzione sulla definizione di bambino è di un rischio inaudito, una negazione linguistica che ne trasmette una ideologica, senza esagerare lo stesso identico meccanismo per cui la Shoah è arrivata ad assumere la portata che ha avuto. Ma come se non bastasse tanti dei morti a Gaza sono dei bambini con qualsiasi criterio adottabile. Chiediamoci però perché ci si ritrova a ragionare sulla definizione di bambino, che sicuramente aiuta a estraniarsi ma contribuisce alla sconfitta del genere umano.

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