L’industria automobilistica giapponese è in crisi per i dazi Usa al 15% e la crescente concorrenza cinese, con utili in calo e rischio di perdita di competitività globale.
Se non è allarme rosso poco ci manca. L’industria automobilistica del Giappone, uno dei settori più importanti della terza economia asiatica, la quinta del pianeta, sta attraversando un momento molto complicato a causa di due fattori ben precisi: i dazi dell’amministrazione Trump sul Made in Japan, auto comprese (al 15%), e la crescente concorrenza cinese nel campo delle quattro ruote.
La doppia tempesta perfetta sta facendo preoccupare il nuovo governo conservatore guidato da Takaichi Sanae, se non altro perché l’automotive rappresenta quasi il 3% del pil giapponese, nonché poco meno del 14% del pil manifatturiero del Paese, e impiega circa 5,5 milioni di addetti, quasi l’8% della forza lavoro nazionale, contando tutte le attività correlate all’automobile (manifattura di veicoli e componentistica).
I tre grandi colossi nipponici, ossia Honda, Toyota e Nissan, stanno cercando di capire come riorganizzare le loro attività per adattarsi al contesto ma la situazione è complicata. Già, perché non si tratta solo di trovare un modo attraverso il quale alleggerire, o comunque limitare, il peso delle tariffe statunitensi, ma anche di procedere su un parallelo binario dell’innovazione per non perdere la sfida a distanza con le rampanti case automobilistiche cinesi che stanno conquistando sempre più spazio di manovra nei mercati chiave a scapito proprio dei brand giapponesi. [...]
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