Cosa rischia chi fa i cori razzisti allo stadio?

Ilena D’Errico

7 Maggio 2023 - 21:01

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I cori razzisti allo stadio non sono solo antisportivi, ma possono configurare anche un vero e proprio reato. Vediamo quindi cosa rischia chi fa i cori razzisti allo stadio.

Cosa rischia chi fa i cori razzisti allo stadio?

Non di rado la tifoseria, soprattutto quella calcistica, oltrepassa i limiti della goliardia per sfociare in manifestazioni aggressive e talvolta violente. Ovviamente non tutti i tifosi prendono parte a queste azioni, che di sportivo hanno ben poco, ma di solito qualcuno che si fa un po’ prendere la mano c’è, soprattutto negli stadi. Oltre a un eccesso di entusiasmo, è complice anche una certa sottovalutazione di alcuni comportamenti. I cori allo stadio, per esempio, sono un classico per i tifosi che vogliono supportare la propria squadra. Molto spesso, però, il coro diventa il mezzo per screditare gli avversari ed è qui che bisognerebbe fare più attenzione. Intonare cori razzisti può perfino avere conseguenze penalmente rilevanti, oltre a procurare al tifoso altre sanzioni.

Razzismo e sportività appaiono come ossimori, anche se nella realtà dei fatti questa triste piaga sociale spesso contamina gli eventi sportivi. Innanzitutto, già l’organizzazione delle competizioni facilita in qualche modo gli insulti a sfondo razzista. Squadre divise per territori e tifosi che oltrepassano i limiti del patriottismo e dello slancio sportivo, nulla di nuovo. A ciò si aggiunge poi la controversa questione della differenza tra la nazionalità o l’etnia dei giocatori rispetto alla squadra di rappresentanza. Proprio oggi, durante la finale di Atalanta – Juventus, lo juventino Vlahovic è stato aspramente appellato dai tifosi bergamaschi come “zingaro”, per la sua nazionalità serba. Ecco perché ci si torna a chiedere quali siano le conseguenze in questi casi e soprattutto cosa rischia chi fa cori razzisti.

Cori razzisti allo stadio, Daspo e diffida dalle manifestazioni sportive

Proprio a causa della frequenza con cui gli stadi italiani hanno ospitato eventi violenti negli stadi, il nostro ordinamento ha introdotto una legge specifica per contrastare il più possibile questo fenomeno per l’incolumità dei partecipanti e per tutelare gli atleti dalle offese a sfondo razziale. A svolgere questa doppia funzione è la legge n. 401 del 13 dicembre 1989, che ha introdotto una misura di prevenzione e sanzione conosciuta come Daspo.

Quest’ultimo sta per Divieto di accedere alle manifestazioni sportive, un provvedimento amministrativo che per l’appunto vieta l’accesso alle manifestazioni sportive e anche ai luoghi di sosta e transito degli atleti e degli altri tifosi. Questo provvedimento è emesso dal Questore, per una durata che può andare da 1 a 5 anni e può perfino prevedere l’obbligo di firma nell’ufficio di Polizia, nei giorni e orari in cui si svolgono le manifestazioni vietate. Insomma, chi intona cori razzisti allo stadio rischia di non poter più partecipare alle partite della sua squadra del cuore, ma non è tutto. Il Daspo stesso, infatti, ammette la possibilità che le azioni in oggetto possano afferire a diversi reati, così come ci ha ricordato la Corte di cassazione qualche anno fa.

Chi fa cori razzisti rischia il carcere, la sentenza della Cassazione

La sentenza n. 31975/2017 della Corte di cassazione ha proprio in oggetto il Daspo emesso nei confronti di un tifoso che aveva intonato durante la partita di calcio allo stadio un coro razzista, con la frase “livornese ebreo” accompagnata dal ripetersi del saluto romano. La Corte ha rigettato il ricorso del tifoso, che era stato sottoposto all’obbligo di firma, ricordando che è assolutamente legittimo il divieto emesso dal Questore in questi casi, anche se la circostanza è analizzata anche dalla legge n. 654 del 13 ottobre 1975, contro ogni forma di discriminazione razziale.

La legge, in particolare, prevede la condanna fino a 1 anno e 6 mesi e la multa fino a 6.000 euro per “chi propaganda idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, ovvero istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi”. Esiste poi un’ulteriore aggravante quando suddetto comportamento riguarda il popolo ebraico; perciò, si può dire che il ricorrente è stato finanche fortunato a cavarsela con il solo obbligo di firma.

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