Le riserve di terre rare in Cina ammontano a 44 milioni di tonnellate, circa un terzo di quelle mondiali.
Le riserve groenlandesi ammontano a 1,5 milioni di tonnellate facendo dell’isola, formalmente dipendente dalla Danimarca, l’ottavo detentore mondiale di terre rare. Incredibile ma vero, gli Stati Uniti sono appena sopra, a quota 1,8 milioni, cedendo la medaglia d’oro dei Paesi occidentali all’Australia, a quota 4 milioni. Il potenziale di estrazione di terre rare in Groenlandia è stimato in 60 mila tonnellate all’anno, il 40% in più di quelle estratte negli Usa nel 2021.
L’Usgs ha ipotizzato che in pochi anni l’isola potrebbe superare la produzione cinese. Washington non è rimasta a guardare e già nel 2019, in piena presidenza Trump (quello stesso presidente che propose addirittura di comprare la Groenlandia), ha firmato un memorandum d’intesa con le autorità groenlandesi per mettere a fattor comune le competenze geologiche e gli investimenti al fine di scoprire e sfruttare nuovi giacimenti di terre rare.
La Cina non si è fatta cogliere di sorpresa, e usando sempre l’Australia come testa di ponte ha acquisito nel 2016 una quota di oltre il 10% in Greenland Minerals, oggi Energy Transition Minerals, società quotata a Sidney che si occupa di esplorazione di terre rare in territorio groenlandese. La geopolitica delle terre rare non è peraltro una novità per il governo di Xi Jinping: quando nell’estate del 2021 i talebani presero il potere in Afghanistan la Cina fu uno dei pochi Paesi a non chiudere le porte al regime e ad appoggiare la ricostruzione. Scelta non disinteressata considerando che le riserve di terre rare di Kabul (non censite dal rapporto Usgs) in 1,4 milioni. [...]
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