Bond e valute emergenti: ci sono ancora opportunità a basso rischio?

MG

25 Febbraio 2019 - 10:03

Le obbligazioni e le valute dei mercati emergenti offrono ancora interessanti spunti di rendimento. Analisi e commento di Stéphane Monier di Banque Lombard Odier

Bond e valute emergenti: ci sono ancora opportunità a basso rischio?

Il 2019 delle valute e dei bond dei mercati emergenti è iniziato con un rally. Da inizio anno ad oggi, le valute emergenti, infatti, hanno guadagnato lo 0,7% rispetto al dollaro, mentre l’indice MSCI Emerging Market è salito del 7,3%. Da qui in avanti, il debito e le valute dei mercati emergenti dovrebbero beneficiare della ricerca di rendimenti (da parte degli investitori).

Dopo il difficile quarto trimestre del 2018, i mercati si sono concentrati sull’annuncio della Fed del 30 gennaio, con il quale affermava di voler mettere in pausa il ciclo di rialzo dei tassi di interesse. Questo elemento è riuscito ai ridurre il pericolo di recessione negli USA scatenato da un problema politico, tanto che anche gli asset rischiosi hanno reagito positivamente.

Con la pausa alla normalizzazione dei tassi di interesse e un riduzione della crescita a livello globale – osserva Stéphane Monier, Chief Investment Officer, & Banque Lombard Odier Cie SA - riteniamo che a beneficiare saranno le strategie carry trade (chiedere prestiti a tassi di interesse più bassi e investire in asset ad alto rendimento). Inoltre, la decisione della Fed fa parte di un più ampio trend di ammorbidimento delle politiche monetarie delle Banche Centrali, che riducono la probabilità di un improvviso sell-off delle valute dei mercati emergenti.

Segnali di recessione?

Gli investitori sono in attesa di segnali di una possibile recessione dell’economia statunitense, in un momento in cui la Fed non ha risposte politiche per combatterla, visto che i tassi di interesse sono già molto bassi. Un’indagine condotta tra i gestori di fondi di Bank of America Merrill Lynch ha rilevato che la più grande posizione di cassa netta in sovrappeso degli ultimi dieci anni e le partecipazioni azionarie globali sono scese ai minimi storici da settembre 2016. Un sondaggio di Reuters al quale hanno preso parte 110 economisti ha evidenziato che, la scorsa settimana, gli intervistati stimavano un 25% di probabilità di una recessione negli Stati Uniti per quest’anno.

Considerando che, nel 2019, svanirà anche (la forza dello) lo stimolo fiscale, la pausa nel percorso di rialzo dei tassi della Fed è una solida strategia nell’attuale contesto di tassi di interesse più restrittivi, al fine di lasciare che l’economia globale entri in una fase «soft land» (con un rallentamento della crescita economica ma non si entra in recessione): «le nostre condizioni attuali sono evidentemente peggiori» per affrontare un’altra recessione rispetto al 2008, ha affermato la settimana scorsa il premio Nobel Paul Krugman a Bloomberg News, aggiungendo che dieci anni fa, infatti, era possibile tagliare i tassi di interesse e il debito pubblico era più basso. «E siamo entrati nell’ultima crisi con una leadership piuttosto notevole…Mettiamola così, il nostro attuale Segretario del Tesoro non è Hank Paulson», ha sottolineato il Professor Krugman.

Nel breve periodo, la più grande minaccia individuata da investitori ed economisti è la guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina. Se da un lato le tensioni sembrano in calo in vista della deadline del 1° marzo, ovvero quando è previsto un ulteriore aumento dei dazi, dall’altro restano comunque difficili da prevedere, poiché la volontà degli Stati Uniti di raggiungere un accordo dipende dal Presidente Trump, il cui approccio alla questione gode di un limitato supporto da parte dei suoi elettori e del suo stesso partito. Tuttavia, siamo ottimisti sul fatto che verrà concordata una proroga della deadline di marzo, senza un immediato aumento delle tariffe. In questo scenario, i mercati globali sarebbero più ottimisti sulla crescita mondiale.

Impatto sulla strategia d’investimento

In questo contesto - precisa Monier - abbiamo perseguito la nostra strategia di riduzione progressiva dell’esposizione al rischio nei nostri portafogli. In particolare, riteniamo che le azioni dei mercati emergenti non siano più economiche. L’indice MSCI Emerging Markets è salito di oltre il 7,3% rispetto all’anno precedente, con l’utile per azione atteso in crescita del 6% nel 2019. Poiché il target value fondamentale è stato raggiunto, abbiamo ceduto la nostra posizione sovrappesata in azioni dei mercati emergenti, che avevamo da inizio dicembre 2018, e abbiamo spostato la nostra esposizione al rischio verso le azioni in un debito locale dei mercati emergenti.

Preferiamo il reddito fisso e le valute emergenti

Finché l’economia globale non rallenta più del previsto, la ricerca del rendimento andrà a beneficio del settore del reddito fisso dei mercati emergenti e delle valute emergenti ad alto rendimento degli stessi. Il debito emergente in valuta locale - dice Monier - beneficerà delle politiche delle Banche Centrali de paesi dell’area emergente che adottano un atteggiamento più morbido, poiché l’inflazione dovrebbe rimanere contenuta e la pressione si riduce grazie alla pausa nel ciclo di rialzo dei tassi della Fed. Anche le valute emergenti hanno ottenuto buoni risultati rispetto al dollaro (grafico 2) e manteniamo la nostra view ribassista per il dollaro nel 2019. Ci aspettiamo che il problema dei twin deficit degli Stati Uniti e il calo dei tassi di interesse rispetto al resto del mondo si traduca in premi di rischio più elevati.

Riteniamo infatti che le valute emergenti ad alto rendimento -prosegue Monier - beneficeranno della ricerca del rendimento. In particolare, siamo abbiamo una view rialzisti sul real brasiliano, sul rublo russo e, in una certa misura, sul peso messicano. In Brasile sono necessarie riforme strutturali per mantenere uno stato solvibile e sostenere la recente ripresa della crescita. Anche se questo non sarà un processo facile a causa dell’opposizione politica, ci aspettiamo che l’amministrazione Bolsonaro mantenga la maggior parte delle promesse. Il real brasiliano deve ancora riflettere questi potenziali sviluppi positivi, che probabilmente attireranno significati flussi (di capitali), anche se sono già stati incorporati dal mercato azionario interno.

Nel frattempo la Banca Centrale russa è riuscita a riportare l’inflazione sotto controllo, dal 16,9% nel 2015 al 5% del mese scorso. La combinazione di tassi reali positivi, una Banca Centrale credibile che combatte l’inflazione e prezzi del petrolio più elevati dovrebbe sostenere il rublo. Infine, il peso messicano è una proxy tradizionale per le valute emergenti in quanto è una delle valute più liquide tra i suoi peer. Nonostante esistano rischi idiosincratici, il peso offre tassi di interesse elevati a fronte di un rallentamento dell’inflazione e dovrebbe anche beneficiare di un contesto in cui gli investitori dirigono i flussi verso asset a più alto rendimento.

Opportunità a breve termine

Come già affermato in precedenza - conclude Monier - abbiamo continuato la nostra riduzione del rischio in maniera graduale e opportunistica. La pausa nel ciclo del rialzo dei tassi da parte della Fed ha cambiato la proposta di valore relativo e assoluto di un certo numero di asset class. Questo ci ha spinto a spostare l’esposizione dei nostri portafogli dei mercati emergenti verso l’obbligazionario emergente in valuta locale, dove vediamo l’opportunità di generare rendimenti migliori nel breve termine e di ridurre l’esposizione complessiva al rischio dei nostri portafogli. Le minacce alle prospettive globali non sono cambiate: il ciclo americano sta raggiungendo la maturità e la crescita globale sta rallentando. Di conseguenza, gli investitori consapevoli del rischio devono continuare a bilanciare attentamente il rapporto risk/reward, visto che ci avviciniamo alla fine del ciclo attuale.

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