Record Big Oil: i profitti da $200 mld imbarazzano il mondo

Violetta Silvestri

08/02/2023

08/02/2023 - 21:14

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Gli utili delle più grandi società petrolifere del mondo non sono stati mai così alti: è record assoluto nel 2022, con $200 miliardi di profitto. Perché questi numeri aprono una questione etica.

Record Big Oil: i profitti da $200 mld imbarazzano il mondo

La guerra in Ucraina ha già dei vincitori: sono le Big Oil, le grandi società petrolifere mondiali che con i loro profitti da record nel 2022 stanno generando un certo imbarazzo a livello globale.

Nello specifico, le cinque maggiori compagnie petrolifere occidentali hanno incassato utili combinati per quasi 200 miliardi di dollari l’anno scorso, intensificando le richieste ai governi di imporre tasse straordinarie più severe.

L’ultima pubblicazione è stata del gigante petrolifero francese TotalEnergies, che ha riportato un profitto per l’intero anno di 36,2 miliardi di dollari, raddoppiando il totale precedente. Con i prezzi dei combustibili fossili aumentati vertiginosamente dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, gli utili sono volati.

I risultati vedono TotalEnergies unirsi alle supermajor Exxon Mobil, Chevron, BP e Shell nel registrare una massiccia ripresa dei profitti annuali, dopo che il bottino di 56 miliardi di dollari di Exxon nel 2022 ha segnato un massimo storico per l’industria petrolifera occidentale.

Come impatta la cifra senza eguali di 200 miliardi di dollari di utili per le Big Oil con la crisi economica e finanziaria in corso? C’è un certo imbarazzo, i motivi.

Big Oil: profitti troppo alti, c’è tensione

I numeri sono, effettivamente, impressionanti. Complessivamente, lo scorso anno le cinque grandi compagnie petrolifere hanno registrato profitti combinati per 196,3 miliardi di dollari, più della produzione economica della maggior parte dei Paesi.

Pieni di liquidità, i giganti dell’energia hanno utilizzato i loro guadagni eccezionali per premiare gli azionisti con dividendi più elevati e riacquisti di azioni proprie. Decisioni finanziarie legittime, ma che stanno interrogando sulla opportunità nel contesto storico attuale.

Dati e mosse delle società sono ora sotto accusa o, comunque, sotto i riflettori considerando la crisi energetica in corso, che pesa soprattutto sui redditi delle famiglie.

Una delle voci più critiche contro gli utili impressionanti e definiti “scandalosi” è stata quella di Biden, che parlando alla nazione non ha esitato a sottolineare che le major petrolifere statunitensi hanno investito “troppo poco di quel profitto” per aumentare la produzione interna e contribuire a mantenere bassi i prezzi del gas. “Piuttosto, hanno utilizzato quei profitti record per riacquistare le proprie azioni, premiando i loro amministratori delegati e azionisti.”

Il presidente Usa ha proposto di quadruplicare la tassa sui riacquisti di azioni proprie per incentivare gli investimenti a lungo termine, insistendo che le supermajor avrebbero comunque realizzato un profitto “considerevole”.

I dirigenti delle Big Oil hanno cercato di difendere i loro utili in aumento tra una raffica di critiche da parte degli attivisti, sottolineando in genere l’importanza della sicurezza energetica nella transizione verso le energie rinnovabili e suggerendo che tasse più elevate potrebbero scoraggiare gli investimenti.

Il CEO di Shell Wael Sawan ha spiegato: “le tasse straordinarie o i massimali di prezzo semplicemente erodono la fiducia nella stabilità degli investimenti e quindi mi preoccupo per alcune delle mosse in corso. Penso che sia necessario adottare un approccio diverso, ovvero attingere davvero capitale di investimento in un momento in cui dobbiamo essere in grado di integrare la sicurezza energetica qui in Europa.”

I suoi commenti sono arrivati ​​poco dopo che Shell ha riportato il suo profitto annuo più alto di sempre di quasi $40 miliardi, superando ampiamente il precedente record di $28,4 miliardi nel 2008.

Anche il CEO di Saudi Aramco, la più grande compagnia energetica del mondo, ha precedentemente messo in guardia sui pericoli della pressione sulle compagnie petrolifere attraverso tasse più elevate. Alla domanda del mese scorso di Hadley Gamble della CNBC se una tassa sui profitti petroliferi fosse una cattiva idea, Amin Nasser di Saudi Aramco ha risposto: “Direi che non è utile per loro [per] avere ulteriori investimenti. Hanno bisogno di investire nel settore, hanno bisogno di far crescere il business, nelle alternative e nelle energie convenzionali, e hanno bisogno di essere aiutati.”

Il CEO di BP Bernard Looney ha cercato di difendere l’azienda dalle critiche dopo aver riportato profitti record nel 2022 di $27,7 miliardi, affermando che la major britannica dell’energia si stava fornendo al mondo l’energia di cui ha bisogno. Inoltre, ha ribadito che è stato tra i primi giganti dell’energia ad annunciare l’ambizione di ridurre le emissioni a zero entro il 2050, con la promessa che le emissioni sarebbero state inferiori del 35-40% entro la fine del decennio.

Martedì, tuttavia, ha affermato che ora punta a un taglio dal 20% al 30%, sottolineando che deve continuare a investire in petrolio e gas per soddisfare la domanda.

I profitti del petrolio diventano un caso etico mondiale

Sui profitti record delle più grandi aziende petrolifere del mondo, realizzati grazie ai prezzi storici scatenati dalla guerra in Ucraina, si è mossa anche Amnesty International - organizzazione di fama mondiale nella difesa dei diritti umani - con un comunicato ad hoc:

“L’industria dei combustibili fossili dovrebbe essere in declino. Invece, sta realizzando enormi profitti storici, approfittando dell’aumento dei prezzi dell’energia derivante dall’aggressione della Russia contro l’Ucraina. Che i margini di profitto di Big Oil siano aumentati così enormemente è palesemente ingiustificabile. Questi profitti sono un disastro assoluto, sia per il clima che per i milioni di persone profondamente colpite da costi energetici esorbitanti.”

Il ragionamento è chiaro: “i miliardi di dollari di profitti realizzati da queste società petrolifere devono essere adeguatamente tassati in modo che i governi possano affrontare efficacemente l’aumento del costo della vita per le popolazioni più vulnerabili e proteggere meglio i diritti umani di fronte alle molteplici crisi globali.”

La questione etica c’è e non può essere ignorata in un momento così cruciale della storia umana - non solo a livello economico - del mondo. La giustizia nella distribuzione delle risorse si sta palesando un tema irrinunciabile, dinanzi al quale, forse, anche le regole del mercato devono porsi delle domande.

Se le tasse esistono per favorire sviluppo e servizi per tutti e se i profitti record dei più ricchi in questo momento possono soltanto essere ridimensionati, non eliminati, a vantaggio di un benessere diffuso, allora il caso delle Big Oil non va trascurato.

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