Le azioni Leonardo, e degli altri titoli della difesa, sono legate all’andamento dei conflitti in corso? Non è detto. E il motivo, potrebbe lasciarti a bocca aperta.
Ma i venti di guerra si affievoliscono, che fine fanno i titoli della difesa?
Per quanto opportunistico possa sembrare, molti investitori stanno ponendo proprio questa domanda. Beh, se si pensa che esista una relazione diretta e immediata tra la cessazione di un conflitto e la caduta delle quotazioni, probabilmente si perde di vista il punto centrale della questione. La realtà, come spesso accade sui mercati, è più sfumata, e per comprenderla serve guardare oltre i titoli di giornale. Ecco cosa devi assolutamente sapere.
Il quadro tecnico: segnali misti ma direzione chiara
Volodymyr Zelensky ha dichiarato che non vede segnali concreti di una volontà russa di porre fine alla guerra in Ucraina. Eppure, dall’altra parte, Donald Trump spinge verso una mediazione, promuovendo contatti diretti e incontri fra i vertici decisionali globali. Senza addentrarsi troppo negli aspetti geopolitici, dal punto di vista finanziario il settore difesa sta attraversando un momento di volatilità significativa.
Leonardo (LDO), ad esempio, mostra un’implicita tensione nei prezzi delle opzioni: la volatilità implicita è aumentata, segnale che il mercato si aspetta movimenti di prezzo rilevanti.

E non è sola. Rheinmetall, gigante tedesco della difesa, ha recuperato rapidamente le perdite successive alla pubblicazione dell’ultima trimestrale, segno che il sentiment resta positivo. Altri big europei del comparto mostrano un andamento simile. Al contrario, sul fronte americano, le azioni Lockheed Martin stanno registrando un calo marcato, quasi un crollo, riflettendo una dinamica opposta.

La disomogeneità tra Europa e USA
La verità è che questa divergenza tra titoli europei e americani non è casuale. Gli investitori europei vedono nella spinta al riarmo un trend indipendente dall’andamento del conflitto in Ucraina. Su stimolo diretto di Trump, diversi Paesi NATO hanno accettato di aumentare la spesa militare fino al 2%–5% del PIL, secondo una logica di riarmo strutturale più che emergenziale.
Questo è il punto cruciale: la domanda di sistemi d’arma, tecnologia e supporto logistico in Europa non è più solo “ciclica” (legata a una guerra in corso) ma diventa “strutturale” (legata a una politica di lungo periodo). Per questo motivo, anche se le trattative dovessero muoversi verso una tregua, il flusso di investimenti nel comparto potrebbe continuare, almeno per i player europei.
Al contrario, negli Stati Uniti, il settore difesa è percepito in parte come già maturo e fortemente dipendente dai budget federali legati a conflitti attivi. Se il focus geopolitico si sposta, le aspettative su aziende come Lockheed Martin ne risentono immediatamente.
Lucidità prima di tutto
Il settore difesa, oggi, è al centro di una dinamica complessa.
Non è un comparto “lineare” in cui pace significa ribasso e guerra significa rialzo: la realtà è fatta di budget pluriennali, accordi industriali e strategie di riarmo a lungo termine.
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