Attenzione alla nuova trappola sugli ETF obbligazionari

Tommaso Scarpellini

20 Ottobre 2025 - 05:59

Gli ETF obbligazionari promettono stabilità, ma potrebbero nascondere la stessa trappola del 2022. Il taglio dei tassi non sempre salva chi crede nei “free risk”.

Attenzione alla nuova trappola sugli ETF obbligazionari

Quando acquisti un ETF a distribuzione su obbligazioni, pensi di scegliere la sicurezza. “Rendita stabile”, “free risk”, “rifugio dai mercati azionari”. Ma davvero è così? Dietro quella distribuzione trimestrale che fa tanto comfort si nasconde un rischio tecnico sottile, difficile da cogliere a prima vista.

Il paradosso è che molti ETF obbligazionari, pur distribuendo regolarmente cedole da anni, mostrano ancora oggi un rendimento totale negativo dopo il 2022. Eppure, la narrativa dominante continua a dire: “Quando la Federal Reserve taglierà i tassi, i bond torneranno a salire”. Sarà davvero così scontato?

Dal 2022, la “lezione dimenticata” dei bond

Nel 2022 il mercato obbligazionario ha subito la più grande distruzione di valore degli ultimi 40 anni. Gli investitori, convinti di rifugiarsi nella stabilità, si sono trovati con portafogli carichi di ETF obbligazionari che valevano anche il 30% in meno. Il motivo è semplice, ma potente: quando i tassi salgono, i prezzi delle obbligazioni scendono.

E più lunga è la duration, più forte è la caduta. Gli ETF su Treasury e corporate bond a lunga scadenza, come il TLT americano o il suo equivalente europeo, hanno visto i rendimenti schizzare oltre il 4-5%. Ma il prezzo è crollato, e la perdita in conto capitale ha ampiamente superato la cedola distribuita. Molti ETF a lunga duration, pur avendo un yield to maturity elevato, non sono ancora riusciti a recuperare il crollo post-2022.

E questa è la prima grande trappola: credere che basti aspettare un taglio dei tassi per rivedere la luce.

Tagli dei tassi? Non è così semplice

L’errore di molti investitori è pensare in modo lineare: “Se i tassi scendono, i prezzi salgono”. Ma la realtà, specie negli Stati Uniti, è più complessa. La Federal Reserve controlla i tassi a breve, non quelli a lungo termine, che dipendono da inflazione, deficit, domanda estera e aspettative di crescita. E se l’inflazione rimanesse alta, mentre i tagli arrivassero solo sul breve, la curva dei rendimenti potrebbe semplicemente steepen, ovvero allargarsi: i tassi lunghi restano fermi o addirittura risalgono, e i prezzi delle obbligazioni a lunga duration rimangono compressi.

Il rischio, dunque, è di rivedere una dinamica simile ma opposta a quella del 2022:

  • i tassi brevi scendono, ma quelli lunghi restano ostinatamente alti;
  • i prezzi dei bond non risalgono, e gli ETF restano in un limbo di volatilità e lateralità.

Il problema tecnico, inoltre, è che gli ETF obbligazionari non hanno una scadenza: il loro portafoglio viene ribilanciato (rolling). Questo significa che l’investitore non riceve mai indietro il capitale nominale come in un’obbligazione singola, ma resta esposto perennemente al rischio di prezzo, anche se con uno yield to maturity definibile.

Il “rolling risk” degli ETF obbligazionari

Quando compri un ETF su bond, non compri realmente un titolo che scadrà tra 10 anni. Compri un portafoglio di obbligazioni che, man mano che scadono, vengono sostituite da nuove emissioni. Questo meccanismo, chiamato rolling, è una lama a doppio taglio: ti permette di restare sempre investito nella stessa duration media, ma ti espone continuamente al rischio di mercato.

È un concetto fondamentale: la yield to maturity di un ETF è una fotografia teorica, non una garanzia di rendimento reale. Serve a stimare cosa accadrebbe se i tassi restassero invariati e i bond fossero tenuti fino a scadenza. Ma in un ETF, quei bond vengono sostituiti continuamente: quindi il rendimento effettivo dipende dall’andamento dei prezzi sul mercato secondario.

Il rischio invisibile: duration e liquidità

C’è un altro elemento spesso trascurato: la duration effettiva di molti ETF obbligazionari. Un ETF a lunga duration (20 anni o più) reagisce in modo estremo a ogni variazione dei tassi. Ecco perché, anche con una cedola elevata, il rischio complessivo resta molto alto.

Inoltre, nei momenti di stress, anche la liquidità degli ETF può ridursi: il prezzo sul mercato può discostarsi dal valore netto (NAV) del portafoglio. Nel 2020 e nel 2022 si sono osservati spread anche superiori all’1-2%, un’enormità per strumenti che dovrebbero rappresentare stabilità.

Gli ETF obbligazionari, in fondo, sono una “coperta corta”: proteggono dal rischio specifico (fallimento dell’emittente), ma amplificano il rischio sistemico (movimenti dei tassi e volatilità).

E se il 2025 non fosse l’anno del riscatto dei bond?

Oggi il consenso di mercato scommette su un “soft landing” e su tagli dei tassi da parte della Fed nel 2026. Ma se l’inflazione dovesse mantenersi su livelli mediamente più alti del 3%, o se la crescita reale restasse resiliente, i rendimenti lunghi potrebbero restare strutturalmente elevati. In questo scenario, molti ETF obbligazionari resterebbero intrappolati in un equilibrio difficile: cedole generose, ma performance totali modeste o negative.

Il rischio più grande è dimenticare

Le aspettative positive sui bond potrebbero rivelarsi un’altra illusione. Non è detto che accada, ma è uno scenario da non escludere. Chi pensa che il semplice taglio dei tassi possa “resuscitare” automaticamente gli ETF obbligazionari rischia di rimanere deluso: la dinamica dei mercati del reddito fisso è diventata molto più complessa, soprattutto con l’intervento costante delle banche centrali e la nuova struttura della curva dei rendimenti.
E allora la vera domanda diventa: stai comprando un’opportunità, o un déjà vu travestito da occasione?

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