Anticipo Naspi, cambia tutto dopo la sentenza della Corte Costituzionale

Simone Micocci

23 Maggio 2024 - 11:21

Anticipo Naspi, non sempre va restituito l’intero importo nel caso di avvio di un’attività lavorativa subordinata prima della scadenza del beneficio. A stabilirlo la Corte Costituzionale.

Anticipo Naspi, cambia tutto dopo la sentenza della Corte Costituzionale

Anni fa trattando dell’anticipo della Naspi feci presente di un aspetto della normativa che non mi convinceva pienamente, ossia l’obbligo di dover restituire tutto l’importo erogato dall’Inps nel caso di avvio di un’attività lavorativa subordinata prima della scadenza del periodo coperto dalla disoccupazione.

Rischiava di esserci, infatti, una disparità di trattamento tra chi percepisce la Naspi con la modalità ordinaria rispetto a coloro che invece ne chiedono l’anticipo per l’avvio di un’attività come lavoratore autonomo.

Nel primo caso, infatti, accettare un lavoro come dipendente comporta la sospensione o la decadenza della Naspi mantenendo il diritto alle mensilità ricevute nel periodo antecedente all’avvio dell’attività. Per l’anticipo Naspi, invece, firmare un contratto come dipendente prima della scadenza del periodo indennizzato comporta la restituzione dell’intero importo anticipato.

Anni dopo questa disuguaglianza viene chiarita e in parte risolta: attraverso un intervento della Corte Costituzionale viene riconosciuto l’anticipo Naspi “parziale” ma solo qualora la cessazione dell’attività avvenga per causa di forza maggiore.

Il caso di specie

Con la sentenza n. 90 del 2025 la Corte Costituzionale ha fissato un nuovo principio al quale l’Inps dovrà inevitabilmente adeguarsi nei prossimi mesi se vuole evitare un mare di ricorsi ai suoi danni.

Il caso di specie riguarda un lavoratore che a seguito di un licenziamento per giustificato motivo oggettivo ha fatto richiesta di Naspi. Considerando il periodo lavorato negli ultimi anni, la scadenza della disoccupazione era prevista per il 28 maggio 2021. Questo però sceglie di rimettersi subito in gioco e approfittando della possibilità offerta dall’anticipo Naspi, con la liquidazione in un’unica soluzione dell’indennità spettante, apre un bar.

Tuttavia, lo scoppio successivo della pandemia gli impedisce di andare avanti e per questo motivo nel febbraio del 2021, quindi 5 mesi prima della scadenza prevista, accetta un impiego a tempo indeterminato con conseguente cessione dell’attività. Una scelta che però gli costa caro: visto quanto previsto dalla normativa sull’anticipo Naspi, infatti, l’Inps chiede la restituzione dell’intero importo erogato, pari a 19.796,90 euro.

Una cifra spropositata dal lavoratore, il quale ha fatto ricorso al Tribunale di Torino che a sua volta ha rimandato la questione alla competenza della Corte Costituzionale.

Quando la restituzione di tutto l’anticipo è legittima

A tal proposito, con la sentenza la Consulta ha spiegato la ragione per cui solitamente è legittima la disparità di trattamento che c’è tra chi prende la Naspi mensilmente e coloro che invece ne chiedono l’anticipo.

Nel dettaglio, una tale previsione è coerente con la finalità antielusiva della norma: il legislatore, infatti, ha voluto evitare che le somme erogate sotto forma di anticipo Naspi possano essere utilizzate per finalità differenti da quella imprenditoriale per la quale sono state previste. Un principio che la Corte ha già ribadito in passato, ad esempio con la sentenza n. 194 del 2021 con la quale venne spiegato che l’obbligo di restituzione dell’intera somma percepita scatta anche in caso di avvio di un rapporto di lavoro subordinato irrilevante sia per quanto riguarda la durata che per la retribuzione percepita.

Così come è legittima la richiesta di restituzione dell’intera somma nel caso in cui l’avvio di un’attività di lavoro subordinato dipenda dal fatto che l’attività di impresa non è andata come si sperava. Come spiegato dalla Consulta, infatti, il lavoratore che sceglie di percepire la Naspi in un’unica soluzione deve comunque mettere in conto il “rischio di impresa”, insito nella finalità stessa dell’incentivo.

Quando va restituita solo una parte dell’anticipo Naspi

Esiste però un’eccezione, rilevata appunto dalla Corte Costituzionale nel caso di specie: la forza maggiore. Il lavoratore che ha fatto ricorso, infatti, ha chiuso il bar per impossibilità sopravvenuta, causa Covid appunto. Una situazione non imputabile al lavoratore.

Per questo motivo la Corte Costituzionale ha ritenuto che una tale situazione non possa essere compresa nel novero del “rischio di impresa”, riconoscendo un “rigore eccessivo” da parte dell’Inps. Rilevando quindi “un’intrinseca irragionevolezza e mancanza di proporzionalità”, la Consulta ha ritenuto l’integrale restituzione dell’anticipo Naspi eccessivamente gravosa per il lavoratore.

A tal proposito, ha stabilito che nel caso specifico, vista la sussistenza dell’elemento della causa di forza maggiore, debba essere restituita solamente la quota percepita per il periodo che segue l’avvio dell’attività come lavoratore subordinato.

D’altronde, in tal caso il lavoratore per non essere obbligato a restituire integralmente l’anticipazione dovrebbe restare inoccupato per tutto il periodo che manca alla scadenza della Naspi, il che contrasta con la ratio della misura, in quanto paradossalmente potrebbe rappresentare un incentivo a restare disoccupato piuttosto che favorire il reimpiego della persona (come invece dovrebbe essere).

La posizione della Consulta, quindi, è chiara. Sarà l’Inps a dover decidere come uniformarsi a un tale chiarimento, facendo chiarezza su quali sono le condizioni necessarie per far sì che sussista la causa di forza maggiore, elemento essenziale per il riconoscimento dell’anticipo Naspi parziale.

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