Vitalizi: cosa significa per i parlamentari andare al voto prima del 2018

Giulia Mirimich

4 Febbraio 2017 - 15:17

Vitalizi: quanto percepiscono i parlamentari se le Camere vengono sciolte prima del tempo? Ecco quello che forse non sapete.

Vitalizi: cosa significa per i parlamentari andare al voto prima del 2018

La questione dei vitalizi e delle pensioni fa discutere molto e spacca l’opinione pubblica. Questo perché i vitalizi per molti sono sinonimo di rendita a vita, nonché la motivazione economica decisiva che spingerebbe i più ad intraprendere la carriera politica.

Tutti sappiamo bene che la ‘scadenza’ naturale della XVII legislatura, incominciata il 15 marzo 2013, è fissata al 15 settembre di quest’anno. Dunque ufficialmente il mandato dei parlamentari si concluderebbe per quella data. Cosa significherebbe per i parlamentari andare al voto prima del 2018?

Se il Presidente Mattarella decidesse di sciogliere le Camere in anticipo che cosa succederebbe ai vitalizi dei parlamentari, in particolare di quelli al primo mandato?

Ma prima di ogni altra cosa, è necessario sapere di che cosa si parla quando si discute di vitalizi, dal momento che c’è molta confusione al riguardo. Persino lo stesso Renzi qualche giorno fa ha fatto uno scivolone scrivendo un sms a Floris durante la trasmissione “Di martedì”.

L’ex Premier infatti ha spiegato che per lui è indifferente recarsi alle urne nel 2017 o nel 2018 e che la cosa più importante sarebbe non far scattare i vitalizi per i parlamentari alla prima legislatura.

La risposta delle opposizioni, ma anche dallo stesso Pd, non si fanno di certo aspettare. Bersani infatti commenta:

“i vitalizi non esistono più, esiste un regime Inps integrativo”.

Ed effettivamente Bersani ha ragione.

Scioglimento anticipato Camere: quanti parlamentari a rischio pensione?

Dal 2012 tutti i parlamentari versano ogni mese un contributo della loro indennità al Fondo Pensioni di Camera e Senato, contributo che ammonta a meno del 9% di questa.


Nel Fondo confluiscono i contributi mensili di Camera e Senato, circa 1400 euro per ciascun rappresentante. Questo perché il diritto alla pensione scatta esclusivamente al compimento del sessantacinquesimo anno di età qualora l’interessato abbia concluso almeno cinque anni di mandato, anzi più esattamente quattro anni, sei mesi e un giorno.


Nel momento in cui il parlamentare resti in carica oltre i cinque anni poiché riconfermato, il requisito anagrafico scende ai sessantanni. 
Ma ad oggi, nel nostro Parlamento su 630 deputati ben 417 sono al loro primo mandato mentre al Senato 191 su 315 senatori si trovano nella medesima situazione.

Ciò significa che ben 608 neo parlamentari, concentrati principalmente nei due partiti maggioritari (Pd e M5S), rischiano di perdere la loro pensione.

Ovviamente qualora gli interessati fossero rieletti e ricominciassero a versare contributi al Fondo, questi si andrebbero a sommare ai precedenti. In caso contrario invece, sarebbero accantonati e non vedrebbero alcuna pensione.

I grillini si sono tirati fuori da un possibile conflitto di interessi reclamando a gran voce le urne. Lo stesso Di Maio non si è fatto problemi a muovere accuse ben precise:

“Vogliono tenersi le pensioni!”

Nel frattempo, mentre si aspetta di saperne di più in materia di riforma elettorale - il 27 febbraio la Consulta è chiamata a valutare un eventuale testo di legge - i parlamentari possono consolarsi con il pensiero della buonuscita, l’assegno di fine mandato che corrisponderebbe all’80% dell’importo mensile lordo dell’indennità per ogni anno di mandato effettivo.

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