Vienna prova a «riabilitare» Putin, Berlino nicchia e Parigi si smarca: Italia in offside?

Mauro Bottarelli

17 Aprile 2022 - 19:33

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Nel giorno in cui Draghi preavvisa a mezzo stampa un addio, il démarche russo alla Nato sulle armi per Kiev sembra un monito all’intransigenza di Roma. E in vista del nuovo decreto interministeriale

Vienna prova a «riabilitare» Putin, Berlino nicchia e Parigi si smarca: Italia in offside?

La breccia di Porta Pia è facilmente individuabile e quindi destinata a diventare argomento di dibattito generale. Le prime crepe in una diga invece sono complicate da vedere a occhio nudo e, soprattutto, difficilmente identificabili come prodromiche a un cedimento strutturale. Soprattutto quando la narrativa ufficiale è unilateralmente improntata all’ottimismo.

Ecco quindi che un paio di segnali arrivati in giornata dal fronte dell’informazione di guerra e della diplomazia lasciano intravedere i primi, chiari segnali di un riassestamento degli equilibri. Tanto silenzioso e sottotraccia quanto fondamentali da cogliere. Utilizzando una metafora calcistica, occorre stare attenti ai movimenti dei difensori e non solo a quelli della palla. Perché il rischio di finire in fuorigioco, quando già si pregustava l’emozione del gol, cresce sensibilmente.

Ad aprire le danze in un’intervista alla Nbc ci ha pensato il cancelliere austriaco, Karl Nehammer, reduce dell’incontro a Mosca con Vladimir Putin dello scorso 11 aprile. A detta del capo del governo di Vienna, il presidente russo collaborerà all’inchiesta internazionale sui crimini di guerra commessi secondo la comunità internazionale dalle forze russe in Ucraina. Di più, per Nehammer, Putin non si fida del mondo occidentale, quindi questo sarà il problema in futuro.

Ora non serve affidarsi alla buonanima di Marshall McLuhan per capire che Vienna ha lanciato un inizio di palese campagna di riabilitazione del Cremlino, una sorta di operazione simpatia nel pieno della tempesta che potrebbe avare molto a che fare con il grado di dipendenza totale dell’Austria dal gas russo. Perché fino a non più tardi di quattro giorni fa, Mosca era sull’orlo del default, il ricatto energetico un ricordo del passato e Putin un uomo sempre più isolato dalla sua cerchia di potere e vittima delle sue ossessioni imperiali. Poi, l’evento spartiacque: l’affondamento dell’incrociatore Moskva nel Mar Nero e la decisione russa di cambiare strategia in Ucraina. A partire dal martellamento aereo anche su Kiev e da una campagna chirurgica di distruzione dei rifornimenti di armi ucraini: siano essi in loco o in transito da Paesi Nato, i cosiddetti bersagli legittimi, il primo dei quali eliminato nei dintorni di Odessa.

Da quel giorno, qualcosa pare cambiato. Ad esempio, la Repubblica Ceca è passata da una postura belligerante nel rivendicare spedizioni di armi verso Kiev all’accettazione immediata e tacita del veto russo alla cessioni di armamenti di fabbricazione sovietica. Poi, il secondo segnale. Per la prima volta, i media internazionali hanno fatto filtrare in maniera chiara e netta una notizia che rischia di incrinare il profilo da eroe della patria del presidente ucraino. A fronte dell’ultimatum russo agli asserragliati di Mariupol, fra cui pare centinaia di mercenari stranieri, la notizia sarebbe quella di un massimo livello politico ucraino che avrebbe detto no alla richiesta di marines e membri di Azov di arrendersi per avare salva la vita.

Tradotto, Zelensky parrebbe pronto a sacrificare suoi uomini pur di poter contare su una nuova strage da attribuire a Mosca e rivendere al mondo, in primis come ragione di rottura totale di un negoziato in realtà mai cominciato. E se gli Usa paiono parteggiare per questa ipotesi di conflitto permanente e a bassa intensità, qualche Stato europeo comincia a sentire puzza di bruciato. E, soprattutto, a temere che provenga dalle proprie terga terminate sul barbecue diplomatico dei rapporti con Mosca.

Ecco quindi che Emmanuel Macron, sovra-esposto mediaticamente per il ballottaggio di domenica prossima, ha colto immediatamente la palla al balzo per dissociarsi pubblicamente dall’accusa di genocidio avanzata da Joe Biden verso Vladimir Putin, mentre Berlino è precipitata in un silenzio tombale sull’argomento Ucraina dopo il divieto di ingresso a Kiev recapitato da Zelensky al presidente Steinmeier. E non solo, in sede Ue sia Germania che Ungheria sembrano intenzionate a utilizzare qualsiasi arma o diversivo pur di rinviare ad libitum l’approvazione delle sanzioni sul gas russo.

L’Austria, dal canto suo, sembra fa portavoce della buona volontà del Cremlino nell’accertare eventuali crimini di guerra e pone il problema del recupero di fiducia che l’Occidente deve mettere in agenda nei confronti del presidente russo. Praticamente, una quasi difesa d’ufficio, un patrocinio diplomatico pro bono che ha come implicito onorario la non interruzione dei flussi di Gazprom via Polonia.
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E l’Italia? Nell’intervista odierna al Corriere della Sera, Mario Draghi ha parlato della sua conversazione con Vladimir Putin e dell’irremovibilità di quest’ultimo nel proseguire la campagna militare ma a nessuno è sfuggito come il profilo dell’Italia stia divenendo il più bellicista in seno all’Ue. A partire proprio dall’orgogliosa rivendicazione del presidente del Consiglio della scelta di armare Kiev. E, alla luce di quanto appena raccontato, Roma appare a forte rischio di isolamento. Il famoso fuorigioco, quindi. Non a caso, si inseguono da più fronti le indiscrezioni rispetto a un Mario Draghi tentato dalla sostituzione di Jens Stoltenberg al vertice Nato, tanto da lasciar prefigurare un addio anticipato a Palazzo Chigi.

Addirittura già in estate. Non sono stanco ma non mi candiderò alle prossime elezioni, ha dichiarato Draghi al direttore di Corriere, in quello che è apparso a molti un preavviso di crisi di governo. Ed ecco il vero, grande rischio. Più che reale e imminente. Questa settimana a Roma sbarcherà il decreto interministeriale per il secondo invio di armamenti all’Ucraina, proprio nel pieno del riposizionamento europeo nei confronti di Mosca.

E a stretto giro di posta con il démarche ufficiale inviato dai canali diplomatici russi a molti Paesi Nato - fra cui il nostro - rispetto alle conseguenze imprevedibili legate proprio alla prosecuzioni di una politico di sostegno militare di Kiev. Parigi, Berlino e Vienna hanno cominciato ad alzare la linea dei difensori, dopo aver dato vita a un silenzioso rimescolamento delle squadre. L’attaccante Italia è già oltre la linea? O sta per varcarla, pericolosamente?

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