Il Venezuela è alle prese con una crisi economica nerissima, tra iperinflazione e svalutazioni. Ora è allarme per la crisi alimentare e il paese rischia di finire nel caos
In Sudamerica c’è un paese che sta vivendo una crisi economica senza precedenti, che rischia seriamente di mandare un’intera nazione sul lastrico. Questa volta i guai economici e finanziari non vanno ricercati in Argentina - il paese sudamericano che ha una lunga storia recente di fallimenti e svalutazioni - bensì in Venezuela. Da quando è morto il carismatico leader Hugo Chavez, il suo delfino Nicolas Maduro non è riuscito a tenere in mano il controllo del paese che ormai sta sprofondando in una crisi senza fine. La corsa dei prezzi al consumo appare inarrestabile, tanto che ad aprile è stata calcolata un’inflazione in crescita del 5,7% rispetto al mese precedente. Soltanto nei primi quattro mesi dell’anno l’inflazione cumulata è stata pari al 16,3%, che su base annua esplode al 61,5%!
Si tratta di livelli da iperinflazione, che potrebbero addirittura peggiorare da qui a fine anno. Secondo alcuni esperti il tasso di inflazione su base annua potrebbe addirittura sfiorare l’80%. Per i consumatori ciò si traduce in una forte perdita del potere d’acquisto, considerando anche che il bolivar si sta svalutando ormai da tempo ed è su valori minimi. Il presidente Maduro ha alzato il salario minimo del 30%, ma con un’inflazione superiore al 60% c’è davvero poco da fare. Un’altra grave emergenza è la crisi alimentare che sta colpendo tutto il paese sudamericano. Mancano addirittura molti beni di prima necessità, come il latte, il caffè, la farina, l’olio e lo zucchero.
Alcuni beni primari mancano già da qualche tempo sugli scaffali dei supermercati. Ad esempio è impossibile trovare gli spaghetti, visto che non possono essere prodotti dalle aziende per mancanza di farina. Le imprese non riescono a importare i beni necessari per la loro produzione, in quanto mancano i dollari da scambiare sul mercato ufficiale mentre sul mercato nero il bolivar vale dieci volte in meno rispetto al cambio fissato sui mercati internazionali. I consumatori sono sempre costretti a fare lunghe file ai supermarket per acquistare i prodotti, che arrivano a singhiozzo e ormai quasi del tutto dall’estero (Brasile, Argentina e Uruguay).
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