Vaccino Sputnik, cosa c’è dietro l’accordo tra Regione Lazio e Russia? L’intrigo diventa internazionale

Alessandro Cipolla

30/03/2022

30/03/2022 - 11:53

condividi

Sono tanti i punti dell’accordo stretto tra la Regione Lazio e l’istituto Gamaleya ancora da chiarire: il sospetto è che i russi non si siano limitati solo a un approfondimento sul vaccino Sputnik V, visionando anche informazioni sul Covid condivisi con i Paesi della Nato.

Vaccino Sputnik, cosa c’è dietro l’accordo tra Regione Lazio e Russia? L’intrigo diventa internazionale

Era il 13 aprile 2021 quando la Regione Lazio e l’istituto Gamaleya di Mosca, padre del vaccino anti-Covid Sputnik V, annunciavano la firma di un memorandum per una cooperazione in ambito scientifico.

In quel periodo l’Italia si era appena messa alle spalle la terza ondata Covid, con tutte le attenzioni che erano rivolte verso la campagna vaccinale da poco iniziata tra mille incertezze, legate soprattutto alla disponibilità delle dosi visti i ritardi di AstraZeneca e Pfizer nelle consegne.

Dopo il via libera da parte di San Marino e Ungheria, da noi diversi politici tra cui pure Matteo Salvini chiedevano che l’Italia prendesse in considerazione l’utilizzo anche di Sputnik V, proprio per aumentare la dotazione dei vaccini a disposizione.

L’accordo tra Regione Lazio e Gamaleya, con l’istituto romano Lazzaro Spallanzani altra parte in causa, di conseguenza era da ricondurre proprio in questo scenario tanto che la firma del memorandum era stata salutata con soddisfazione dalle parti di via Cristoforo Colombo.

Saranno due le direttrici dello studio sullo Sputnik V non appena ci sarà l’ok di AIFA - si leggeva in un post su Facebook pubblicato dalla Regione - Da una parte si approfondirà l’efficacia del vaccino russo sulle varianti; dall’altra verrà avviata una sperimentazione su 600 volontari che hanno già avuto la prima dose di vaccino con AstraZeneca ai quali verrà somministrata la seconda dose di altri vaccini, ovvero Pfizer, Moderna e Sputnik”.

L’obiettivo di fondo era quello di capire l’efficacia di Sputnik V sulle varianti e se il vaccino russo potesse essere utilizzato come seconda o terza dose, con tanto di viaggio a Roma da parte degli scienziati di Mosca che hanno lavorato al preparato made in Russia.

A inizio gennaio 2022 ecco che l’istituto di ricerca Lazzaro Spallanzani e l’istituto Gamaleya hanno annunciato i primi risultati della loro ricerca: la protezione del vaccino russo contro Omicron sarebbe maggiore rispetto a quella di Pfizer. Una conclusione questa che è stata contestata poi da diversi scienziati.

Tuttavia Sputnik V non è mai stato autorizzato dall’Ema, l’Italia volendo potrebbe optare per un suo utilizzo di emergenza assumendosi però tutte le responsabilità, ma lo scoppio della guerra in Ucraina ha spinto lo Spallanzani a terminare ogni collaborazione con Gamaleya.

Russia e Regione Lazio: i sospetti sull’accordo

Nelle scorse settimane Aleksej Vladimirovich Paramonov, ex console russo a Milano e in passato direttore del dipartimento europeo del ministero degli Esteri, in una intervista al Corriere della Sera nel pieno della guerra in Ucraina ha lanciato una minaccia neanche troppo velata all’Italia: conseguenze irreversibili se il nostro Governo dovesse continuare a seguire la strada delle sanzioni dure nei confronti di Mosca.

Per il Corriere dietro alle parole dell’ex console ci sarebbe una sorta di ricatto da parte del Cremlino: rendere noti quelli che sono stati gli accordi stretti tra l’Italia e la Russia durante i primi mesi della pandemia, quando Mosca inviò medici e mezzi per aiutare il nostro Paese.

Per i nostri servizi segreti, intervenuti in questi giorni, non ci sarebbe stato nulla di “strano” nella missione denominata “Dalla Russia con amore”, ma adesso un articolo di La Repubblica ha acceso i riflettori anche sul memorandum firmato dalla Regione Lazio con l’istituto Gamaleya.

Cosa hanno consultato - si è chiesto il quotidiano - I ricercatori dell’istituto Gamaleya di Mosca, gli uomini del vaccino Sputnik, nei database dell’istituto Spallanzani di Roma? Hanno preso le cartelle cliniche dei pazienti ammalati di Covid, studiato i 120 ceppi conservati per sviluppare il vaccino come avevano dichiarato? O hanno invece avuto anche accesso all’intera banca dati dell’Istituto nazionale per le malattie infettive che contiene, tra le altre cose, le ricerche sui sieri da utilizzare in caso di armi batteriologiche? Registri, tra l’altro, condivisi con i paesi della Nato?”.

Domande queste che sono al momento senza risposta, in attesa di un chiarimento da parte della Regione Lazio e dell’istituto Spallanzani su questo accordo che starebbe diventando adesso una sorta di intrigo internazionale.

Iscriviti a Money.it