Tagliare le pensioni d’oro? E’ incostituzionale. Ma i ricchi non pagano mai?

Valentina Pennacchio

6 Giugno 2013 - 15:51

Tagliare le pensioni d’oro? E’ incostituzionale. Ma i ricchi non pagano mai?

Tagliare le pensioni d’oro? Pochi giorni fa vi abbiamo parlato di questa possibilità accennata dal nuovo ministro del welfare Enrico Giovannini. E immediato arriva l’altolà della Corte Costituzionale: è incostituzionale.

La Consulta si era già pronunciato contro la manovra Tremonti che prevedeva tagli agli stipendi dei dirigenti pari al 5% per stipendi tra i 90 e 150.000 euro e del 10% per la quota eccedente i 150.000 euro perché “irragionevole” ed in contrasto con 2 articoli della Costituzione:

  • art. 3 (comma 1): Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge;
  • art. 53 (comma 1): Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva.

Anche nel taglio alle pensioni d’oro la Corte Costituzionale individua “un intervento impositivo irragionevole e discriminatorio ai danni di una sola categoria di cittadini”.

Il caso

La questione di legittimità costituzionale è stata sollevata dalla Corte dei Conti (sezione giurisdizionale per la Regione Campania) in seguito al ricorso di un magistrato presidente della Corte dei conti in quiescenza dal 21 dicembre 2007, nonché titolare di una pensione superiore a 90.000 euro.

Al centro del mirino il comma 22 bis dell’art. 18 del decreto legge 98/2011, che prevedeva che, dal 1 agosto 2011 al 31 dicembre 2014, le pensioni con importi superiori a 90.000 euro lordi annui, corrisposte da enti gestori di forme di previdenza obbligatorie, fossero soggette ad un contributo di solidarietà:

  • 5% fino a 150.000 euro;
  • 10% per la parte eccedente 150.000 euro;
  • 15% per la parte eccedente 200.000 euro.

Come nel caso suddetto, la Corte Costituzionale ha giudicato la normativa in contrasto con gli artt. 3 e 53 della Costituzione ritenendo il contributo di solidarietà richiesto discriminatorio perché inerente ad una sola categoria: i pensionati. Dalla sentenza si legge:

“L’intervento riguarda, infatti, i soli pensionati, senza garantire il rispetto dei principi fondamentali di uguaglianza a parità di reddito, attraverso una irragionevole limitazione della platea dei soggetti passivi”.

In sostanza, la Corte ha ritenuto violato il principio della “universalità dell’imposizione” a causa di una disparità di trattamento tra i cittadini visto che “i redditi derivanti dai trattamenti pensionistici non hanno natura diversa e inferiore rispetto agli altri redditi”.

Vietato tassare i ricchi?

Alla luce di quanto esposto sembra valere un principio: vietato tassare i ricchi. La situazione paradossale viene denunciata dalla CGIL:

“Con questo sistema i ricchi non pagano mai e sono sempre i soliti a dover fare sacrifici”.

Il segretario confederale della Cgil, Vera Lamonica, ha parlato di un modo di legiferare superficiale:

“La giusta esigenza di chiedere qualcosa ai redditi più alti ha invece prodotto la situazione paradossale per cui a chi più ha dovrebbe essere perfino restituito, mentre ai più deboli si è fatto pagare l’unico vero salato conto delle cosiddette riforme. Alla fine c’è sempre un’unica categoria che deve pagare: i lavoratori e i pensionati a reddito più basso, cui è stata peraltro bloccata la rivalutazione, mentre stipendi e pensioni d’oro permangono intoccati”.

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