Spending review: cos’è e su cosa “risparmia” l’Italia

Flavia Provenzani

21/06/2017

21/06/2017 - 16:26

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Il Governo esulta per i 30 miliardi tagliati nel 2017 con la spending review, ma che cos’è veramente e su cosa ha deciso di risparmiare l’Italia?

Spending review: cos’è e su cosa “risparmia” l’Italia

Cos’è la spending review e cosa significa per gli italiani?

I media tornano a parlare freneticamente di spending review (revisione della spesa, per gli italianisti convinti): nel 2017 sono stati risparmiati quasi 30 miliardi di euro come effetto del taglio sui conti iniziato nel 2014, stando ai dati riportati all’interno della relazione annuale da Commissario straordinario alla Revisione della spesa Yoram Gutgeld.

Per comprendere nel dettaglio il significato di questi dati, vediamo cos’è veramente la spending review e su quali voci l’Italia sta risparmiando.
A questo proposito, ti interesserà approfondire in che modo un alto debito pubblico non ha niente a che fare con la crisi economica.

Cos’è la spending review

Secondo la traduzione dall’inglese, il termine “spending review” indica una “revisione della spesa”.
Il concetto di revisione e riduzione della spesa sul bilancio dello Stato italiano è stato introdotto per la prima volta nel nostro Paese dall’ex Ministro dell’Economia Padoa Schioppa ai tempi del Governo Prodi.

Nel dettaglio, la spending review comporta un’analisi dettagliata delle voci di spesa del governo con l’obiettivo di definire quali costi possono essere tagliate, andando così ad alimentare un risparmio sui conti pubblici.
In questo modo si ha un maggiore controllo e un maggior margine di manovra nel rendere la spesa pubblica ottimizzata ed efficiente.

La spending review spiegata

Nel tentativo di far crescere l’economia e annullare gli effetti della crisi finanziaria, lo Stato è chiamato a ridurre le spese, complice anche una riduzione di fondo del flusso di entrare nelle casse statali.
Se le uscite vanno dagli stipendi della pubblica amministrazione, agli investimenti, le pensioni, il sistema sanitario pubblico, le infrastrutture e molto altro, le entrate statali arrivano per lo più da tasse, lotterie, monopoli e altri giochi vari.

La spesa pubblica, però e troppo spesso, viene tagliata proprio dove non serve: meno fondi alla sanità e alle scuole comportano un minor peso sul bilancio nel breve termine ma nel lungo termine si traducono in una maggiore crescita, influenzando in modo prominente il mercato del lavoro italiano.

I risultati dell’Italia

Nel 2017 sono 29,9 miliardi i miliardi eliminati dalle voci di spesa del bilancio dello Stato, come effetto strutturale della revisione dei conti che ha avuto inizio tre anni fa, - via 3,6 miliardi nel 2017, poi altri 18 miliardi nel 2015 e 25 miliardi nel 2016.
Le previsioni parlano di un ulteriore calo di 31,5 miliardi da segnare nel 2018.

Il taglio, sul carico della spesa totale dell’Italia, corrisponde a circa il 18% della spesa corrente al netto degli stipendi della pubblica amministrazioni.
I “tagli selettivi ed efficientamento” della spesa si sono concentrati su:

  • ministeri
  • enti territoriali
  • centralizzazione degli acquisti Pa

I dati sembrano incoraggianti, come il ministro dell’economia Padoan non manca di sottolineare:

«Dopo la presentazione della relazione sulla spending review mi auguro di leggere un po’ meno che in Italia la spending non si è fatta o si è fatta male.
(Emergono) numeri considerevoli che creano, hanno creato e continueranno a creare spazio fiscale importante. Sarà dovere dei policy maker utilizzare questo spazio in modo efficiente ed efficace».

Nella classifica dei progressi sul taglio delle spese, l’Italia è ora al primo posto a livello Ocse, se escludiamo la Grecia sotto austerity, chiamata ad annientare il proprio bilancio in cambio dei fondi di salvataggio.

È davvero come sembra?

La relazione di Gutgeld, purtroppo, non ci racconta alcun dettaglio.
Sappiamo che le voci di spesa considerate “aggredibili” e su cui sono stati effettuati tagli sono:

  • acquisti PA per 44,5 miliardi
  • consumi intermedi per 91 miliardi
  • “altre voci” per 28 miliardi

Tuttavia, nessuna di questa voce risulta in calo secondo gli ultimi dati dell’Istat.

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