L’Istat ha reso noti i dati relativi alle società partecipate pubbliche: una giugla di società reali e fittizie che costituiscono uno dei capitoli più controversi della spending rewiew sul quale neanche la Legge di Stabilità 2015 apporterà grandi novità.
Arriva la fotografia dell’Istat relativa alle società partecipate pubbliche: un bacino immenso di imprese che, in base al censimento svolto su dati rilevati nel 2012, conta più di 11000 aziende, delle quali solo 7685 sono attive.
Si tratta di uno dei capitoli più controversi della spending rewiew, lo scoglio insormontabile che ha portato il commissario Carlo Cottarelli alle dimissioni, dopo le ripetute frizioni con il Governo riguardo alla delicata questione della chiusura e della razionalizzazione di queste aziende. Lo stesso Cottarelli ne aveva censite circa 10000, smentendo così i dati precedentemente pubblicati dal Ministero dell’Economia che parlavano di 7700 società.
Secondo l’Istat, stando ai dati del 2012 sono 11024 le società che godono di una qualche forma di partecipazione pubblica in Italia, con un numero di addetti pari a 977.792. Di queste, tuttavia, le imprese attive sono solo 7.685 ed impiegano 951.249 addetti, ossia il 97,3% del totali dei dipendenti delle società partecipate.
Tra le 7.685 partecipate considerate attive sono 1.896 quelle catalogate come imprese da "zero addetti": si tratta delle società che, in base alle norme contenute nella Legge di Stabilità dovrebbero, almeno in teoria chiudere i battenti.
Le imprese non attive che hanno comunque presentato nel 2012 il bilancio d’esercizio o la dichiarazione dei redditi con modello Unico sono 1.454. Vi sono, poi, 994 società con 16.579 addetti che, per la loro natura (unità agricole e unità no-profit), sono fuori dal campo di osservazione del registro delle imprese e 891 società residuali che impiegano 9.963 addetti (poco più dell’1% del totale) che sono attualmente considerate come non classificabili e che necessitano di ulteriori analisi.
Nel 25,6% delle società la partecipazione pubblica è totale (100% del capitale); nel 29,1% delle società è partecipato per una quota di capitale compresa tra il 50% e il 99,9%; nel 27,1% delle aziende per una quota inferiore al 20%.
La maggior parte (68,7%) delle società sono partecipate da un solo soggetto pubblico: quasi la metà (41,1%) delle imprese sono società a responsabilità limitata molte altre sono società per azioni (33%). La dimensione media delle imprese partecipate è di 124 addetti per impresa. Le più numerose sono le società per azioni (con una media di 307 addetti) che raccolgono l’81,9% del totale dei dipendenti delle partecipate. Il settore economico che accoglie il maggior numero di addetti è quello del Trasporto e magazzinaggio (37% di addetti e 10,3% delle imprese). Le aziende partecipate pubbliche più numerose sono collocate nel Centro Italia e, soprattutto nel Lazio, mentre il territorio con il maggior numero di società partecipate è il Nord-Ovest (27,7%).
Insomma una giungla senza fine, sul quale il Governo pur avendo promesso di intervenire ha mantenuto finora un profilo molto basso che la Legge di Stabilità ha solo confermato. Il provvedimento economico recentemente approvato vorrebbe, infatti, che chiudessero i battenti le società composte da soli amministratori o da un numero di amministratori superiore a quello dei dipendenti ma, a ben guardare, la questione è più complessa perché, a meno non venga emanato un decreto attuativo in proposito, il maxiemendamento alla Legge di Stabilità presentato dal Governo, pur prevedendo che la razionalizzazione inizi il 1 Gennaio 2015, non fissa alcun premio per le amministrazioni che realizzeranno un’effettiva riduzione delle partecipate attraverso procedure di riordino o fusione, né prevede (gli emendamenti in tal senso sono stati rifiutati) il taglio certo degli stipendi per quei dirigenti che alla fine del 2015 non avranno realizzato i piani di razionalizzazione richiesti.
© RIPRODUZIONE RISERVATA