Con il referendum sulla Brexit del 23 giugno 2016 era diventato un funzionario chiave nei negoziati che comunque dovrebbero iniziare a marzo. I contrasti con Theresa May, primo ministro britannico, segnalano una crisi della Brexit.
Se la Gran Bretagna dovesse uscire dall’Unione Europea e dal mercato comune perdendo così i diritti di “passporting” - sono quelli di vendere servizi finanziari nei paesi dell’Ue - ci sarebbero posti di lavoro che potrebbero andare perduti e Londra potrebbe perdere il suo ruolo di hub finanziario internazionale.
Si tratta di un tema naturalmente delicato e l’ambasciatore britannico a Bruxelles, Sir Ivan Rogers, lo conosce molto bene anche se per la verità non lo si coglie dalla sua lettera di dimissioni.
Chi è Sir Ivan Rogers? In carica a Bruxelles dal 2013 su nomina di David Cameron, era stato criticato a dicembre dall’area pro-Brexit per aver sostenuto in una nota che sarebbero occorsi dieci anni per negoziare un accordo di libero scambio con l’Unione europea. Le ragioni delle sue dimissioni sono alquanto complesse. Spaziano dalle opinioni obiettivamente confuse dei ministri inglesi sulla Brexit a questioni mirate riguardo delle dichiarazioni di Theresa May, primo ministro inglese, perché non avrebbe dato risposta alla domanda se fosse pronta a dare priorità al pieno controllo sull’immigrazione anziché all’adesione al mercato unico.
Infatti, la signora May ha dichiarato:
Spesso la gente parla come se in qualche modo noi non stessimo lasciando l’Unione europea, e avessimo ancora voglia di mantenere pezzi di partecipazione con l’UE. Ce ne stiamo andando. Stiamo uscendo. Non saremo più membri dell’Unione europea.
Quindi la domanda è: qual è il giusto rapporto che il Regno Unito dovrebbe avere con l’Unione europea, una volta fuori? Saremo in grado di avere il controllo delle nostre frontiere, il controllo delle nostre leggi.
Naturalmente della della finanza e della City non parla. Come è noto, il primo ministro ha promesso di invocare l’articolo 50 del Trattato di Lisbona e ottenere negoziati formali con l’UE sulla Brexit entro fine marzo 2017.
Non a caso, il suo discorso per il primo dell’anno è stato rassicurante ma non ha convinto a quanto pare Rogers, anche se non sono mancati richiami all’unità rispetto ai due campi di opinioni e posizioni politiche-economiche che si sono formati progressivamente dopo il referendum del 23 giugno quali pro-Brexit e no-Brexit.
Non ha convinto l’appello che ha richiamato l’interesse nazionale per regolare il negoziato perché, pur riconoscendo la necessità per gli altri Paesi dell’Unione di continuare a lavorare insieme, ha riproposto l’immagine di un Regno Unito “più forte” con la Brexit ma a quanto pare non è condiviso.
Ha presentato un’evocazione di un modello di Stato nazionale in concorrenza con gli altri Stati rispetto al multilateralismo cooperativo prevalente negli ultimi decenni che peraltro la stessa May aveva criticato quando era ministro degli interni chiedendo l’uscita del Regno Unito dalla Corte europea dei diritti dell’uomo.
Chiaramente il discorso della May per il primo dell’anno per la visione di Rogers è risultato in contrasto.
I tempi saranno lunghi e ci vorranno comunque 2-3 anni per negoziare un normale accordo di libero scambio con l’Ue per proteggere gli interessi nazionali ed evitare squilibri. Naturalmente, comprendere Bruxelles non è facile perché bisogna avere esperienza e competenza. Si voglia o no l’amministrazione britannica è inferiore a quella delle istituzioni europee e gli stessi rapporti economici e di valenza politica non sono paritari.
Al riguardo i sostenitori della pro-Brexit mettono in guardia che il mondo è cambiato, compreso i linguaggi dell’economia e della politica nonché i metodi delle relazioni in quanto sono più politici ed è forte il rischio delle improvvisazioni anche e si scivola facilmente verso percorsi nuovi non sicuri.
Si voglia o no sono due visioni politiche diverse che oscillano tra un pensiero dominante multilaterale e gli slanci neo-nazionali di ritorno che sono forse meno tecnici e non hanno competenze alte ma sono animati da progressivi decolli di volontà popolare.
Quali saranno i risultati di questo confronto? La Brexit è aperta e l’ambasciatore britannico a Bruxelles, Ivan Rogers, che si sia dimesso segnala una crisi evidente.
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