Il Presidente del Consiglio garantisce di poter riformare il fisco se altre riforme verranno fatte: cosa può significare questo concretamente? Quali ostacoli ha davanti il suo progetto?
Matteo Renzi, a margine di un’assemblea del Partito Democratico tenuta negli edifici dell’EXPO di Milano, ha annunciato un "patto con gli italiani", un impegno di riforma fiscale molto robusto: abolizione della TASI, dell’IMU agricola (aumentata in precedenza dallo stesso Governo Renzi per coprire il bonus 80 euro) e della tassa sugli imbullonati nel 2016, taglio dell’IRAP e dell’IRES nel 2017, rimodulazione dell’IRPEF nel 2018, oltre ad un’estensione del famoso "bonus 80 euro" ai pensionati.
L’annuncio è particolarmente roboante: tanto che in molti rivedono in queste modalità comunicative di Renzi lo stesso sensazionalismo di Silvio Berlusconi, a partire dalla stessa formula propagandistica utilizzata ("patto con gli italiani").
Come sarebbe possibile attuare queste manovre così forti, il cui costo viene calcolato dallo stesso Governo in 45 miliardi (5 nel 2016, 20 nel 2017 e altri 20 nel 2018) e i cui effetti saranno completati, secondo il premier, nell’arco dei prossimi cinque anni (forse per cominciare prematuramente la campagna elettorale, visto che la legislatura termina tra tre anni) ?
Il Presidente del Consiglio non ha finora fornito particolari dettagli sulle risorse necessarie; ha però utilizzato una formula: "riforme in cambio del taglio delle tasse" partendo dalla quale si può cercare di capire che cosa potrebbe avere in mente.
Il primo pensiero va alla cosiddetta "comunicazione sulla flessibilità" che il Governo vantava di aver spuntato durante il Semestre di Presidenza italiana dell’Unione Europea.
In essa è stato chiarito in che modo debbano essere interpretate le clausole del Patto di Stabilità e Crescita che prevedono un allentamento delle regole in casi di eccezionalità: i governi UE, se applicheranno riforme strutturali importanti, con un certo impatto sulla stabilità dei conti pubblici e sulle potenzialità di crescita, e se le attueranno con decisione, potranno godere di una deviazione temporanea rispetto agli Obiettivi di Medio Periodo (MTO), ovvero le manovre di stabilizzazione delle finanze pubbliche concordate con la Commissione Europea, e perciò godere di maggiore spazio di politica fiscale, rimanendo però sempre nei limiti del 3% del PIL di deficit massimo.
Tale deviazione non dovrà comunque essere superiore allo 0,5% del PIL; il Governo, nell’ultimo Documento di Programmazione Economica e Fiscale, prevede una richiesta all’Europa di deviazione dagli MTO di 0,4% del PIL per il 2016, equivalente a poco più di 6 miliardi, che come si vede non sono moltissimi rispetto a quanto occorre.
Una possibilità, allora, potrebbe essere quella di andare oltre la deviazione consentita rispetto all’1,8% di deficit concordato per l’anno prossimo e per quelli pattuiti per gli anni a venire, creando però forse qualche problema diplomatico con i tecnici di Bruxelles.
Un’altra maniera in cui si può interpretare la formula utilizzata da Renzi è intendere per "riforme" il taglio della spesa pubblica. Per avere delle cifre in merito, occorre rifarsi a quanto dichiarato mesi fa in alcune interviste dal Commissario per la Revisione della Spesa Pubblica, Yoram Gutgeld, il quale prevedeva di riuscire a individuare per quest’anno 10 miliardi da tagliare nel 2016: cifra che dovrebbe aumentare per i tagli previsti negli anni successivi, sempre se si riusciranno a vincere le resistenze e le difficoltà che tale operazione presenta.
Altre risorse potrebbero, teoricamente, provenire da maggiori entrate fiscali grazie alla crescita del PIL, che il Governo stima essere dello 0,7% per quest’anno e di circa l’1,5% per gli anni a venire fino al 2019. Queste però non sono affatto da ritenersi cifre certe, se teniamo considerazione del fatto che negli ultimi anni le stime di crescita del PIL sono state sbagliate molto di frequente.
Considerando che il Governo ha davanti ulteriori impegni di finanza pubblica particolarmente onerosi (la rivalutazione delle pensioni e sblocco di stipendi pubblici come da sentenze della Corte Costituzionale, la bocciatura da parte della UE della reverse charge sull’IVA, e ben 17 miliardi per evitare lo scatto delle clausole di salvaguardia per il 2015 e il 2016), la sfida annunciata da Matteo Renzi questa volta appare davvero difficile; le possibili risorse che abbiamo qui individuato non sembrano pienamente affidabili e sufficienti per affrontarla, almeno al momento.
Inoltre, se il Presidente del Consiglio e Segretario del PD intende cancellare l’imposizione sulla prima casa per tutti gli italiani, è probabile che dovrà affrontare ancora una volta l’opposizione della minoranza interna al partito, visto che l’ex segretario del partito, Pierluigi Bersani, e l’ex Ministro delle Finanze Vincenzo Visco (anche lui nel PD) si dicono contrari a toglierla ai più abbienti: semmai sono favorevoli a farlo per le fasce più deboli.
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