Quanto inquinano davvero i Bitcoin?

Pierandrea Ferrari

13 Maggio 2021 - 13:23

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Elon Musk, ordinando lo stop ai pagamenti in Bitcoin per le auto Tesla, non ha scoperchiato il Vaso di Pandora: da tempo le attività di mining dietro la divisa e le transazioni sollevano infatti interrogativi sulla sostenibilità di lungo periodo del progetto di Nakamoto. Ma quanto inquina, davvero, la regina delle crypto-currency?

Quanto inquinano davvero i Bitcoin?

Con l’ultimo tweet incendiario di Elon Musk, che ha ordinato lo stop ai pagamenti in Bitcoin per le auto elettriche di Tesla, si è riaperto l’annoso dibattito relativo al consumo energetico delle attività di mining che portano all’estrazione del token di Nakamoto e delle transazioni in BTC. E l’interrogativo preme: è possibile stimare puntualmente quanto inquinano gli ingranaggi che muovono la regina delle crypto-currency?

Sciogliere questo nodo è una questione prioritaria, perché con il boom della quotazione del Bitcoin - e a cascata di altre Altcoin che seguono le stesse logiche di funzionamento della divisa - l’incentivo economico per i miners è aumentato, e quindi il ritmo delle estrazioni (nonostante l’halving).

Quanto inquinano davvero i Bitcoin?

Per rispondere a questa domanda ci atterremo ai dati. Alcuni arrivano dal Cambridge Bitcoin Electricity Consumption Index (CBECI), ovvero l’indice che misura il consumo di energia elettrica nell’ecosistema BTC. Il CBECI ha stimato che le attività di mining, a livello mondiale, attingono alle fonti di energia ad un ritmo di 120 terawattora all’anno (ma secondo l’Università di Cambridge potrebbe essere salito fino a 147,8), ovvero un quantitativo pari al consumo domestico di energia in una nazione come la Svezia, con oltre 10 milioni di abitanti, o l’Argentina, poco meno di 50 milioni.

Sul fronte delle transazioni, invece, Digiconomist - il sito web che cura l’indice CBECI - ha rilevato che un singolo pagamento necessita della stessa quantità di energia che un cittadino americano consuma mediamente (a livello domestico) nel giro di un mese, e produce CO2 in quantità un milione di volte superiore alle transazioni Visa. Un aspetto che era stato già sottolineato dal numero uno di Microsoft Bill Gates, che in riferimento alla crypto-currency aveva parlato di transazioni più inquinanti “rispetto a qualsiasi altro metodo di pagamento noto all’umanità”.

Secondo il Centre for Alternative Finance, le attività connesse al Bitcoin - dal mining con i computer rig alle transazioni - rappresentano ormai lo 0,59% del consumo globale di energia, perlopiù di bassa qualità. Per incrementare i profitti, infatti, i miners hanno costruito delle vere e proprie farm in paesi in cui i costi sono inferiori, come la Cina (responsabile per il 70% del mining), la Russia e l’Iran.

Le alternative green al Bitcoin

Insomma, se anche un bull della prima ora come Elon Musk ha deciso di smarcarsi, è probabile che il Bitcoin si trovi già in una via senza uscita. E allora, quali alternative? Oltre ad un ripensamento delle logiche che si nascondono dietro il token, più che mai necessario, un piano b potrebbe essere presto rappresentato dalle nuove crypto-currency che abbattono le emissioni legate alle transazioni e al mining, come Chia Coin di Bram Cohen, che punta su un meccanismo proof-of-space-and-time, e cioè sullo spazio di memoria vuoto degli hard drive dei miners.

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