Quali conseguenze per il Governo dopo l’elezione di Mattarella: cosa può cambiare

Chiara Esposito

30/01/2022

25/10/2022 - 09:31

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Vincitori e vinti di questa tornata nel dettaglio. Alcuni partiti escono dal voto profondamente sfibrati e più divisi che mai.

Quali conseguenze per il Governo dopo l’elezione di Mattarella: cosa può cambiare

Sergio Mattarella resta al Colle e Mario Draghi a Palazzo Chigi. Pericolo scampato? Non proprio.

La rielezione al Colle del Capo di Stato come salvataggio di una situazione critica dal punto di vista decisionale non è al 100% una garanzia di stabilità negli equilibri dell’esecutivo.

Il peggio potrebbe essere stato evitato visto che appare irrealistica la probabilità di andare ad elezioni anticipate, ma si delinea con sempre maggior chiarezza la spaccatura intera di due partiti: Lega e Movimento 5 Stelle.

Seppur per motivi diversi, i leader sembrano avere poca presa e, soprattutto nel caso di Salvini anche poca strategia. Dalle dichiarazioni confuse per il sostegno di questo o di quel candidato, alla perdita definitiva del titolo di kingmaker di questa tornata, fonte di frattura con le sue attuali alleanze.

C’è chi scende e c’è chi sale e forse, Letta e Meloni, sono gli unici che possono guardare al futuro con un po’ di ottimismo. I favoriti alle prossime elezioni ora solo FI e PD possono rivendicare un certo tasso di coerenza o comunque un ruolo di spicco nella propria azione di voto.

Ancora in bilico però resta la volontà di Giorgetti di dimettersi e dobbiamo dire che questo atto, qualora si concretizzasse, potrebbe costituire un pericoloso «precedente».

Salvini ne esce sconfitto come leader

La rielezione di Mattarella non è solo una linea di continuità per l’Italia, è anche un segnale di debolezza per molti partiti: la maggioranza esce provata da cinque giorni di discussioni e tra venerdì e sabato, inoltre, il centrodestra si è di fatto spaccato.

Cosa possa significare questo per la legislatura è da definire, la certezza è che la Lega è uno dei principali sconfitti del voto quirinalizio.

Salvini infatti da mesi si diceva contrario alla rielezione di Mattarella così come Fratelli D’Italia ma entrambi hanno dovuto cedere facendo uno sgarbo alla Meloni.

Salvini addirittura, a differenza di Berlusconi e i suoi, sosteneva il principio dell’alternanza ovvero l’idea secondo la quale il presidente della Repubblica sarebbe dovuto appartenere al centrodestra.

Nessuno degli obiettivi che si era prefissato quindi ha dato esiti positivi, nemmeno eleggere «una donna».

Il primo flop infatti sono state le bocciature di Letizia Moratti, Marcello Pera e Carlo Nordio, unico a conquistare qualche voto in chiusura ma senza successo.
Alcuni però le ritenevano candidature espresse proprio per essere affondate e calare la carta Casellati, ma anche qui il caso di disfatta è piuttosto esemplare. L’aver bruciato anche questo nome, con la mancanza di decine di voti attesi, è un forte segnale di instabilità per Salvini.

Il personalismo della sua guida partitica sta forse subendo un naturale declino, almeno tra i suoi compagni. Se poi queste sconfitte e le numerose contraddizioni emerse durante tutta la durata del Governo Draghi faranno dubitare anche gli elettori, ce lo diranno le politiche del 2023.

Cosa c’è che non va nel M5S?

Il Movimento 5 Stelle, come prevedibile guardando allo storico degli ultimi mesi, si avvia verso un momento critico. I voti sparsi raccontano una storia di dissidi da cui Conte non esce affatto vittorioso.

Le elezioni del Presidente della Repubblica anzi hanno mostrato tutte le divisioni presenti all’interno del partito che avevano già portato nel 2021 alla nascita della componente autonoma nel Misto “Alternativa c’è”.

La direzione che ha preso il partito, contravvenendo alle posizioni di Conte, in realtà non solo lascia intravedere quanti pochi siano i suoi reali e leali sostenitori, ma anche il ruolo di Luigi Di Maio che, senza troppa lungimiranza, ha già messo in chiaro che servirà una riflessione interna.

A cosa condurrà e se questa riflessione sarà tale da impedire l’affossamento del gruppo alle politiche non è dato saperlo, i presagi non sono dei migliori.

L’incognita Giorgetti, Salvini chiede rimpasto

C’è poi il caso del Ministro dello Sviluppo Economico Giancarlo Giorgetti che si vuole dimettere dal Governo. In realtà lo aveva deciso nei giorni scorsi descrivendo il suo malessere in modo emblematico:

“Per alcuni questa giornata porta al Quirinale, per me porta a casa”.

Cosa cercava Giorgetti? Mario Draghi al Colle anche se si racconta che stia meditando una candidatura in regione Lombardia.

Davanti alle mosse incerte di Giorgetti che per ora non ha voluto sbilanciarsi in maniera del tutto ufficiale, Salvini rilancia e sobilla al rimpasto dicendo:

"Se c’è qualche ministro che non ha voglia di lavorare...".

La parola «rimpasto» però non rientra minimamente nel vocabolario di Draghi che, pronto a mantenere il suo incarico ora che gli è stato confermato, ribatte:

«Non scherziamo, ci sono numerose scadenze da rispettare e non ci possiamo certo permettere una nuova squadra di ministri».

Il ministro comunque ha già chiesto un incontro al Presidente del Consiglio per valutare concretamente il da farsi.

Al netto di tutto però non ci sono dubbi che il Governo Draghi andrà avanti, cosa che probabilmente non sarebbe successa con un altro Presidente. Le turbolenze interne però andranno in qualche modo sanate per evitare problemi futuri, in campagna elettorale così come in questi ultimi 11 mesi di attività dell’esecutivo.

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