Pensione: quando è più conveniente andarci?

Simone Micocci

5 Agosto 2021 - 14:21

Scegliere quando è più conveniente andare in pensione non è semplice visto che dipende da una serie di fattori. Ma possiamo comunque farci un’idea in merito.

Pensione: quando è più conveniente andarci?

Quando conviene andare in pensione? Una domanda che si fanno in molti, ma a cui non è semplice rispondere. In primo luogo, infatti, bisogna capire cosa si intende per convenienza, ossia se si guarda all’età oppure all’importo della pensione.

Nell’uno o nell’altro caso, infatti, la risposta cambia: ci sono delle opzioni per il pensionamento, infatti, che sono più convenienti perché consentono di anticipare l’accesso alla pensione, e altre che invece permettono di avere diritto a un assegno di pensione più alto.

In questo articolo ci concentreremo sulla seconda interpretazione, ossia sulla convenienza economica: vedremo, infatti, quando è più conveniente accedere alla pensione a seconda dei singoli casi.

Quando conviene andare in pensione

Con l’entrata in vigore del calcolo contributivo della pensione, in vigore dal 1° gennaio 1996, non ci sono più dubbi su quando conviene andare in pensione per avere un assegno più alto: più si ritarda l’accesso alla pensione, infatti, e più sono le possibilità di ottenere un assegno d’importo elevato.

C’è, infatti, una netta differenza con il precedente regime retributivo:

  • prima del 1° gennaio 1996 si guardava agli anni di lavoro per il calcolo della pensione. Per ogni anno di contributi, infatti, veniva riconosciuto generalmente il 2% della media delle ultime retribuzioni. Il massimo che si poteva ottenere, indipendentemente dall’età della pensione, era l’80% della media delle ultime retribuzioni (dunque con 40 anni di contributi). Un lavoratore che andava in pensione a 64 anni di età e 40 anni di contributi, dunque, avrebbe avuto diritto alla stessa percentuale di uno che andava in pensione a 67 anni e sempre con 40 anni di contributi;
  • dopo il 1° gennaio 1996, invece, si guarda all’età in cui si va in pensione. Più sono gli anni di contributi e più questi contribuiscono a incrementare il montante contributivo, il quale però si trasforma in pensione tramite l’applicazione di un determinato coefficiente che varia a seconda dell’età in cui si accede alla pensione. A parità di montante contributivo, dunque, chi va in pensione a 64 anni non avrà lo stesso importo di chi ci va a 67 anni.

Conviene, dunque, andare in pensione il più tardi possibile, ossia all’età di 71 anni: è qui, infatti, che si ha diritto al coefficiente di trasformazione più elevato che permette di avere il massimo della pensione ottenibile dal proprio montante contributivo.

Di seguito, per potervi fare un’idea, ecco la tabella con i coefficienti di trasformazione aggiornati al 1° gennaio 2021 (e in vigore fino al 31 dicembre del 2022).

Eta’ Valori
57 4,186%
58 4,289%
59 4,399%
60 4,515%
61 4,639%
62 4,770%
63 4,910%
64 5,060%
65 5,220%
66 5,391%
67 5,575%
68 5,772%
69 5,985%
70 6,215%
71 6,466%

Andare in pensione più tardi conviene ma…

Abbiamo appurato, dunque, che conviene ritardare il più possibile l’accesso alla pensione. Ancora meglio sarebbe continuare a lavorare nel frattempo: in questo modo, oltre a beneficiare di un coefficiente di trasformazione più elevato si avrà la possibilità di aumentare il proprio montante contributivo.

Ci sono però dei “ma” da considerare:

  • per chi è senza lavoro ritardare l’accesso alla pensione non è conveniente. È vero che l’anno dopo si avrebbe diritto a un assegno d’importo maggiore, ma è anche vero che bisognerebbe rinunciare ad anni di pensione. E neppure la richiesta dell’assegno sociale renderebbe questa attesa conveniente;
  • i coefficienti di trasformazione variano ogni due anni in quanto vengono adeguati alla variazione delle speranze di vita. Il trend - al netto del Covid - è in crescita e per questo motivo in futuro i coefficienti di trasformazione saranno sempre meno convenienti. Aspettare, dunque, conviene all’interno dello stesso biennio, in quanto si ha la garanzia che l’anno dopo si avrebbe diritto a un coefficiente di trasformazione più elevato. A cavallo di un aggiornamento dei suddetti coefficienti, invece, si rischia di aspettare per ritrovarsi con un coefficiente di trasformazione non molto diverso da quello che avreste avuto qualora sareste andati in pensione non appena possibile.

Per capire meglio quest’ultimo punto basta guardare ai coefficienti di trasformazione nel biennio 2019-2020 e a quelli 2021-2022. Pensiamo a un lavoratore che nel 2020 ha compiuto 67 anni: questo sarebbe potuto andare in pensione, con un coefficiente contributivo pari a 5,604%. Tuttavia, decide di aspettare in quanto spinto dal fatto che a 68 anni il coefficiente di trasformazione sarebbe stato pari a 5,804%.

Tuttavia, nel 2021 scatta l’aggiornamento dei coefficienti e quello previsto per i 68 anni scende a 5,772%. Aspettare è stato comunque conveniente, ma non quanto si credeva.

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