PMI: cos’è il Programma Strategico per l’Intelligenza Artificiale 2022-2024 e come le può cambiare

Felice Bianchini

18 Dicembre 2021 - 07:30

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Il Governo ha approvato il Programma per l’IA: collaborazione MISE, MIUR e Ministro per la transizione digitale. Al centro delle applicazioni l’industria 4.0, che punta a cambiare il volto delle PMI.

PMI: cos’è il Programma Strategico per l’Intelligenza Artificiale 2022-2024 e come le può cambiare

Ormai la transizione digitale è un mantra. E tra i suoi «gioielli» c’è sicuramente la filiera dedicata alla ricerca e all’applicazione dell’intelligenza artificiale (IA). Il Governo italiano, sulla scia dell’Unione europea, ha adottato una propria strategia nazionale sull’intelligenza artificiale, racchiusa in un documento congiunto di Ministero dello sviluppo economico (MISE), Ministero dell’università e della ricerca (MIUR) e Ministro per l’innovazione tecnologica e la transizione digitale: il Programma Strategico per l’Intelligenza Artificiale 2022-2024.

L’Italia punta a ritagliarsi un ruolo globale nel campo dell’IA e delle sue applicazioni. Ecco cosa c’è scritto nel Programma e quali sono gli elogi e le critiche, anche nell’ottica del coinvolgimento delle piccole e medie imprese, cuore pulsante del tessuto economico dello stivale.

Che cos’è il Programma Strategico per l’Intelligenza Artificiale 2022-2024

Il Programma Strategico per l’IA è il piano adottato il 24 novembre dal Consiglio dei Ministri, finalizzato all’accelerazione del processo di innovazione e applicazione dell’intelligenza artificiale all’interno del Paese. L’idea nasce intorno al 2018, in virtù dei passi fatti in questo senso dall’Unione europea. Inizialmente coinvolgeva unicamente il MISE. Col nuovo Governo e l’approvazione del Programma, è stato allargato il campo, coinvolgendo anche il MIUR e il nuovo Ministro per l’innovazione tecnologica e la transizione digitale.

Questa strategia per l’IA è condensata in un documento redatto dai tre Ministeri coinvolti, più il cosiddetto «gruppo di lavoro sulla Strategia Nazionale per l’Intelligenza Artificiale», un insieme di esperti del settore che si occuperà dell’efficienza organizzativa e gestionale, nonché del monitoraggio dei progressi del Progetto. Sono state delineate 24 politiche da perseguire nel prossimo triennio, divise in 3 aree di intervento (come), 6 obiettivi (cosa) e 11 settori produttivi (dove). Analizziamo nel dettaglio:

Le aree di intervento previste, sono:

  1. talenti: per prima cosa occorre migliorare il processo di formazione e attrazione dei talenti nel campo dell’intelligenza artificiale, che è come se fossero la materia prima del percorso che porta all’applicazione dell’IA nelle filiere produttive e nella vita di tutti i giorni;
  2. ricerca: dopo aver formato o attratto talenti c’è bisogno di metterli in condizione di esprimersi al meglio, affinché rendano reali progetti e idee innovative;
  3. applicazioni: l’ultima sfida è applicare i risultati ottenuti con la ricerca al mondo economico e sociale in cui viviamo, in particolare nelle catene produttive e nella gestione ed erogazione dei servizi della Pubblica Amministrazione.

Gli obiettivi, invece:

  1. ricerca di base;
  2. coesione del settore di ricerca;
  3. sviluppare e adottare un’IA antropocentrica e affidabile;
  4. innovazione e sviluppo dell’IA;
  5. sviluppo di politiche e servizi pubblici legati all’IA;
  6. «produzione», attrazione e mantenimento dei ricercatori IA;

Settori:

  1. industria e manifattura;
  2. scuola;
  3. agroalimentare;
  4. cultura e turismo;
  5. sanità;
  6. ambiente, infrastrutture e reti;
  7. sistema finanziario-assicurativo;
  8. PA;
  9. città, aree e comunità intelligenti;
  10. sicurezza nazionale;
  11. tecnologie dell’informazione;

A questa impalcatura di «cosa», «come» e «dove» si affiancano 5 principi guida per la programmazione e la realizzazione della strategia per l’IA:

  1. L’IA italiana è una IA europea;
  2. L’Italia sarà un polo globale di ricerca e innovazione dell’IA;
  3. L’IA italiana sarà antropocentrica, affidabile e sostenibile;
  4. Le aziende italiane diventeranno leader nella ricerca, nello sviluppo e nell’innovazione basata sull’IA;
  5. La pubblica amministrazione italiana governerà l’IA e con l’IA.

Dall’analisi di questa schematizzazione emerge intanto che il progetto non punta a una dimensione chiusa e squisitamente nazionale, ma anche e soprattutto a una prospettiva internazionale. Sia perché, come detto, si colloca nella cornice della strategia europea per l’IA, sia perché la forte ambizione dell’Italia è di guadagnarsi un posto di primo piano nella filiera internazionale di sviluppo, innovazione e applicazione dell’IA, senza trascurare l’impegno verso la sostenibilità e il rispetto della persona umana (sia nei principi che negli obiettivi si parla di antropocentrismo). Per raggiungere l’ambizioso obiettivo internazionale, la linea è quella di creare una rete di collaborazione tra università, imprese e settore pubblico.

Un occhio di riguardo, almeno a parole, è riservato ai giovani, ai quali si cercherà di concedere il maggior numero possibile di posti di dottorato e occasioni di investire il proprio tempo nel campo della ricerca. È recente (2021) il lancio del Dottorato Nazionale in “Intelligenza Artificiale” (PhD-AI.it). È allo studio anche l’istituzione di nuove cattedre incentrate sull’intelligenza artificiale, strettamente legate all’impegno nel far rientrare gli esperti emigrati all’estero, nonché l’investimento in piattaforme per la condivisione di dati e software.

Come cambiano le piccole e medie imprese?

In Italia ci sono 260 imprese che hanno puntato concretamente sull’intelligenza artificiale. Di queste, il 55% si occupa di salute, sicurezza informatica, marketing e finanza. Tra le imprese medie e grandi italiane, secondo il Politecnico di Milano, il 53% ha dato il via ad almeno un progetto di intelligenza artificiale: il 22% è attivo nel settore manifatturiero, il 16% in quello bancario-finanziario e il 10% si occupa di assicurazioni.

In generale, come afferma il piano, vi è un sottoinvestimento nel settore privato in termini di ricerca e sviluppo e viene attribuita una colpa anche alla dimensione delle imprese. Il gruppo di lavoro sulla Strategia afferma che l’adozione di soluzioni IA all’interno del mercato italiano sta al 35%, inferiore di circa 8 punti rispetto alla media UE.

I motivi che vengono addotti dai piccoli imprenditori italiani sono principalmente due:

  1. mancanza di professionisti del settore IA;
  2. mancanza di fondi pubblici.

In questo senso, per risolvere la prima questione, il piano propone di adeguare la paga per i professionisti del settore IA a quella internazionale, visto che è uno dei temi più caldi sull’argomento, che si intreccia con quello della fuga dei cervelli.

Per quanto riguarda invece i fondi pubblici, vengono indicati 13 miliardi di euro della missione 1 C2 Investimento 1 del PNRR. Il punto dei finanziamenti pubblici è fondamentale, visto che anche in quel campo si registra un ritardo rispetto, ad esempio, a Francia e Germania: l’Italia spende troppo pocoi, anche solo per quanto riguarda appalti per acquisto di beni e serviz.

Insomma bisogna spingere le nuove generazioni ad accelerare il processo di nascita delle startup, partendo dall’educazione e la formazione nel settore. Inoltre si punta a migliorare l’altro grande gap rispetto ai partner europei, ossia la certificazione dei prodotti e i brevetti. Paradossale, se si pensa che i ricercatori italiani sono molto prolifici e richiesti a livello internazionale. Solo che in patria sono poco utilizzati, e quando lo sono, vengono malpagati.

Luci e ombre del Programma per l’Intelligenza Artificiale

Luci

Il programma stilato dai Ministeri e i loro esperti è pieno di buoni propositi, ma anche di concrete iniziative e proposte. In termini pratici, è ammirevole e condivisibile lo sforzo che si cerca di promuovere verso la considerazione dei nostri talenti, sottoutilizzati e pagati poco, e che, proprio per questo, spesso decidono di andarsene. Ciò che può essere utile, se non necessario, ma che è ancora a livelli scarsi, è l’attrattività verso i talenti esteri: in breve, oltre a non saper tenere a casa i nostri, non sappiamo attirare gli altri.

Un altro aspetto più che positivo del programma è il tentativo di ridurre la frammentarietà e disparità del nostro ecosistema di ricerca, in cui vige una scarsa comunicazione tra laboratori, università ed enti pubblici, come anche il forte divario di genere.

In generale, se si riuscisse a realizzare almeno in parte il programma si otterrebbero dei rilevanti benefici, soprattutto se si pensa ai servizi della PA, dalle banche dati e al decongestionamento degli uffici pubblici (e dunque in parte delle strade), fino alla mobilità, alla gestione dei rifiuti, dei pagamenti e dell’evasione fiscale, ecc.

Ombre

Purtroppo però non ci sono solo lati positivi, ma anche limiti. In primis, il programma viene inquadrato nel triennio 2022-2024, un intervallo di tempo non proprio dilatato, che potrebbe non essere il più adeguato per realizzare un progetto così ambizioso, che vuole risolvere dei problemi e ridurre un gap ormai sedimentati da anni.

Per quanto riguarda il rinnovamento delle imprese, si parla molto di comunicare, informare e promuovere, e poco di soluzioni concrete. E ricomincia a sentirsi nell’aria il mantra delle imprese italiane troppo piccole per essere innovative (dopo aver registrato un plauso internazionale alla loro capacità di resistere alla pandemia).

La linea, già intravista nel PNRR e nelle prime versioni del piano, è quella di affiancare al tessuto di PMI italiano un insieme di esperti, per traghettarli verso le nuove prospettive dell’economia a trazione IA, mentre non si accenna a un coinvolgimento diretto dei cittadini, al di là della formazione dei più giovani nel campo per reperire nuovo personale.

L’ultimo grande assente è un rapporto dettagliato sulla perdita di posti di lavoro che la transizione digitale (nello specifico l’utilizzo dell’IA) porta con sé, fondamentale visto che, se è vero che verranno creati nuovi posti, è altrettanto vero che quelli che si perderanno non saranno automaticamente convertibili nei nuovi, soprattutto se si tratta di persone in età relativamente avanzata e che non occupano un ruolo che richiede un grado di formazione alto e specializzato.

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