Quando il Movimento 5 Stelle odiava il Partito Democratico

Simone Micocci

27/04/2018

27/04/2018 - 15:37

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Il Movimento 5 Stelle “tende la mano” al Partito Democratico: ma che fine hanno fatto le battaglie degli anni scorsi?

Il Partito Democratico e il Movimento 5 Stelle sono giunti ad una decisione dopo la conclusione del mandato esplorativo conferito a Roberto Fico: qualora nel corso della Direzione del PD in programma giovedì 3 maggio i dem si mostreranno favorevoli (e uniti) alla possibilità di un’intesa con i pentastellati, i due schieramenti politici si siederanno al tavolo delle trattative per discutere di un accordo condiviso per la formazione di un esecutivo. quando il m5 S odiava

Una decisione che ha provocato malumori sia nell’elettorato del PD che - soprattutto - in quello del Movimento 5 Stelle. Come rilevato da un recente sondaggio politico di Tecné, il 55% degli elettori pentastellati avrebbe preferito un’alleanza con la Lega, mentre solamente il 26% vorrebbe un’intesa con il Partito Democratico.

D’altronde negli ultimi anni il Movimento 5 Stelle si è contraddistinto per la dura opposizione mossa nei confronti del Governo Renzi prima e Gentiloni poi, promettendo in campagna elettorale la cancellazione di molte riforme approvate dal Governo di Centrosinistra, come ad esempio la Buona Scuola.

Ed è proprio questa ferma opposizione al Partito Democratico e a qualsiasi “inciucio” elettorale che il Movimento 5 Stelle deve gran parte del successo ottenuto alle elezioni del 4 marzo.

È pur vero che quanto sta succedendo in queste settimane deriva da una situazione non dipendente dalla volontà dei 5 Stelle, i quali non hanno votato la legge elettorale. Ed è pur vero che per governare il M5S deve per forza di cose accordarsi con qualche altra forza politica.

Tuttavia mentre la Lega ha posto sin da subito il veto nei confronti del Partito Democratico - colpevole secondo Salvini di “aver rovinato l’Italia” - lo stesso non è stato fatto da Di Maio il quale, dopo anni di dichiarazioni contro Renzi, Boschi e l’intero Partito Democratico, ha fatto un notevole passo indietro.

A tal proposito sul web e sui social network in queste ore stanno girando molti video riguardanti gli attacchi mossi dal Movimento 5 Stelle nei confronti del Partito Democratico; eccone alcuni che ci ricordano quale è stata la posizione dei pentastellati negli ultimi anni.

Di Battista dovrebbe lasciare il Movimento 5 Stelle?

Di Battista è stato uno dei grandi assenti dell’ultima tornata elettorale: questo infatti ha deciso di non ricandidarsi e al momento è impiegato come reporter per Il Fatto Quotidiano.

Nonostante ciò Di Battista è ancora vicino al Movimento 5 Stelle e molti sono convinti che sarà lui a guidare il partito in caso di un fallimento di Di Maio.

Tuttavia, se dovesse mantenere le promesse fatte in passato Di Battista dovrebbe lasciare il Movimento 5 Stelle. Solo qualche mese fa, infatti, questo dichiarava che qualora il M5S dovesse “stringere alleanze con i partiti che hanno distrutto l’Italia” avrebbe lasciato il movimento.

Molti potrebbero rispondere dicendo che questo è stato necessario per evitare di andare al Governo con tutto il Centrodestra, Berlusconi compreso, e che il Partito Democratico sia il male minore.

In realtà sempre Di Battista la pensava diversamente; il 17 marzo 2015, infatti, dichiarò che il Partito Democratico è persino peggio di Forza Italia.

Paola Taverna: “mafiosi” prima, “non è un inciucio” oggi

Il neo vice presidente del Senato - Paola Taverna - in questi ultimi anni ha sempre attaccato con particolare veemenza gli esponenti del Partito Democratico.

Come dimenticare i suoi discorsi infervorati (e coloriti) durante i quali confermava di aver dato dei “mafiosi” ad alcuni dem, aggiungendo anche altri aggettivi poco ortodossi che non ripetiamo.

A tal proposito molti giornalisti si sono chiesti qual è la sua posizione adesso che il Movimento 5 Stelle ha teso la mano al Partito Democratico, ponendo la domanda alla diretta interessata.

Questa ha risposto dicendo di non essere pentita dalle dichiarazioni fatte in passato e che quanto sta succedendo oggi è “inevitabile per governare”. Per questo motivo non si tratta di “un inciucio, perché abbiamo proposto solamente un contratto sui temi per il Partito Democratico e non mi ci devo fidanzare”.

Sottolineando: “Non è un accordo politico ma un contratto di Governo”.

Luigi Di Maio: ma Renzi non era la “brutta copia di Berlusconi”?

Un accordo tra Movimento 5 Stelle e Partito Democratico non potrà prescindere da Matteo Renzi e Di Maio lo sa. Nonostante apparentemente sia Martina a condurre le trattative per il PD, infatti, sarà Matteo Renzi a dettare la linea politica da seguire.

Buona parte dei dem è ancora fedele a Renzi tant’è che in molti invocano un suo ritorno. Il leader del Movimento 5 Stelle lo sa ma a quanto pare non sembra essere contrario a questa ipotesi dal momento che non ha mai posto alcun veto sulla figura dell’ex segretario dei democratici.

Veto che invece è stato posto su Forza Italia e Silvio Berlusconi. E pensare che solamente lo scorso novembre Di Maio aveva definito Renzi come la “brutta copia di Berlusconi”, come confermato dal seguente video.

Il Movimento 5 Stelle sta cambiando?

Una cosa è certa: quanto sta succedendo in questi giorni provocherà un cambiamento tra le fila del Movimento 5 Stelle. In questi anni i pentastellati si sono contraddistinti per essere anti sistema, attaccando tutti gli schieramenti politici e lamentandosi per quanto fatto dai loro governi.

Adesso però i grillini hanno dovuto abbandonare la loro politica distruttiva in favore di una maggiormente costruttiva, arrivando a fare dei notevoli passi indietro rispetto al passato.

Con questo non vogliamo condannare o appoggiare il loro comportamento; semplicemente riteniamo che non si possa negare questo cambiamento epocale.

Perché se è vero quanto detto da Di Maio, ovvero che il voto del 4 marzo ha decretato il “passaggio alla Terza Repubblica”, è altrettanto vero che questo cambiamento ha riguardato da vicino lo stesso Movimento 5 Stelle, il quale si trova di fronte a quella che forse è la sfida più difficile della sua storia: dimostrare ai propri elettori di non essere come quei partiti ai quali ci si è sempre opposti.

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