Mercati: i 7 fattori chiave del 2016

Flavia Provenzani

12/01/2016

Cosa aspettarsi nel 2016 sui mercati finanziari? Ecco i 7 fattori chiave da seguire con attenzione quest’anno.

Mercati: i 7 fattori chiave del 2016

Cosa aspettarsi nel 2016 e quali sono i fattori chiave che influenzeranno l’andamento dei mercati quest’anno?
Il 2016 ha inaugurato l’inizio del nuovo anno in rosso: i timori per un tracollo dell’economia cinese stanno affliggendo i mercati mondiali, mentre il prezzo del petrolio tocca i minimi di oltre 12 anni.

Ma non solo: il 2016 sarà ancora l’anno della politica monetaria, in cui le banche centrali più potenti al mondo - la Federal Reserve e la BCE - continueranno ad influenzare l’andamento dei mercati.
Quanti altri aumenti dei tassi di interesse aspettarsi dalla Fed nel 2016? La BCE aumenterà la portata del QE per combattere contro la bassa inflazione.

Inoltre occhi puntati su mercati emergenti, rischio Brexit e Oro, che non riesce più a godere dei rialzi dati dalla qualità di bene rifugio.

Cosa ci aspetta in questo 2016 sui mercati finanziari?

Ecco l’infografica realizzata da Forexinfo.it. Assicurati di leggere l’approfondimento che segue per avere una panoramica completa dei temi finanziari da conoscere profondamente per operare sui mercati nel 2016.

1) La Fed e il ritmo di rialzo dei tassi

Lo scorso mese, la Federal Reserve ha aumentato i tassi di interesse per la prima volta in quasi 10 anni. Ma quali effetti avrà l’inizio del ciclo di normalizzazione della politica monetaria degli Stati Uniti e quale sarà l’impatto sull’economia mondiale?

Finché la Fed rimarrà concentrata sull’andamento dell’inflazione, la crescita del paese e il mercato del lavoro, sarà difficile che i tassi vengano alzati (o tagliati) in modo repentino. Parte degli esperti prevedono che la Fed alzerà i tassi di interesse per circa due volte nel corso del 2016, mentre il consensus generale di mercato vede circa 4 rialzi quest’anno, uno ogni trimestre.

Nel frattempo, però, i timori rinnovati circa il rallentamento dell’economia cinese stanno cambiando le carte in tavola e la nuova volatilità sui mercati finanziari potrebbe rallentare il percorso dei tassi statunitensi.

Con il peso della svalutazione dello yuan come fattore di indebolimento dell’economia della Cina, il dollaro USA potrebbe continuare a salire e i prezzi delle materie prime scendere, enfatizzando i trend che notoriamente influiscono in modo negativo sull’inflazione degli Stati Uniti. Così, raggiungere il target della Fed sull’inflazione potrebbe essere ancora più difficile, rendendo la previsione per 4 rialzi dei tassi nel 2016 molto lontana dalla realtà.

Per evitare una profonda crisi per l’economia degli Stati Uniti e quella mondiale, la Fed deve guardare con attenzione le dinamiche dei mercati e comprendere quali sono gli effetti del disastro cinese.
La tendenza della banca centrale statunitense nel 2016 potrebbe essere dunque molto cauta a causa delle turbolenze sui mercati finanziari, e la cautela si accentuerà ancora l’approccio tutelativo già proprio della Federal Reserve.

2) BCE: altro QE in arrivo nel 2016?

La Banca Centrale Europea (BCE) si sta avvicinando all’annuncio di un QE più “aggressivo” nel 2016? In che modo potrebbe cambiare la politica monetaria dell’Eurozona quest’anno?

Alcuni parlano di un altro taglio dei tassi, insieme ad un aumento del volume del Quantitative Easing attuale, come fattore necessario per l’economia dell’Area Euro nel 2016.

L’inflazione, infatti, dovrebbe rimanere sotto il target della banca centrale per altri 2 anni a causa degli squilibri strutturali dell’economia dell’Eurozona, dei prezzi bassi delle materie prime e della debolezza dei mercati emergenti.

Tuttavia, un possibile disaccordo all’interno della BCE sul livello di espansione del programma di acquisto titolo indica che dovrebbe aspettare ancora per assistere al lancio del nuovo bazooka di Mario Draghi.

Nel 2016 la BCE avrà bisogno di diversificare gli acquisti di titoli man mano che diventa detentrice di larga parte dei titoli europei, riducendo la liquidità del mercato. Il prossimo obiettivo logico dovrebbe essere passare all’acquisto di bond societari, nonostante sia un bacino relativamente piccolo che non riuscirebbe a dare alla BCE il giusto margine di manovra.

Altri ritengono che la banca centrale guidata da Mario Draghi aspetterà ancora prima di potenziare il QE. Dopo la mossa di dicembre, il prossimo step potrebbe essere aumentare la dimensione del programma o estendere la sua durata oltre marzo 2017. Ma questo potrebbe causare problemi di implementazione del programma, oltre ad aumentare le preoccupazioni esistenti, in particolare in Germania, circa la stabilità finanziaria dell’Eurozona.

3) Petrolio: il crollo e gli effetti sui mercati finanziari

Con il raggiungimento di nuovi minimi di 12 anni, una domanda risuona nella testa degli investitori: cosa aspettarsi sul prezzo del petrolio nel 2016?
I trader si chiedono quale sia il minimo sulla quotazione dell’oro nero nella speranza di rientrare nel mercato prima della stabilizzazione dei prezzi. Come sempre, le previsioni sul mercato del petrolio sono ben lontane dall’essere certezza, ma gli analisti hanno iniziato già a delineare quali potrebbero essere i prossimi movimenti del petrolio nel 2016.

In primo luogo, non dovremmo assistere ancora a forti movimenti di prezzo. I prezzi, secondo la maggioranza degli analisti, dovrebbero rimanere stabile e al massimo recuperare dai minimi di 12 anni raggiunti la scorsa settimana, sulla scia del sell-off dei mercati azionari cinesi.

Le previsioni per il 2016 parlano di una produzione di petrolio ancora in crescita il prossimo anno, il che causerà la continuazione della pressione ribassista sui prezzi.
Nonostante alcuni trader ritengano che ormai il minimo sul prezzo del petrolio sia stato raggiunto, altri ritengono che debba ancora arrivare. Alcuni analisti hanno individuato il minimo a 30 dollari al barile, mentre altri sostengono che la quotazione potrebbe scendere fino a 18 dollari al barile, costringendo così gran parte dei produttori di shale oil statunitensi a ritirarsi dal mercato, riequilibrando l’offerta.

Nel 2016 il prezzo del petrolio potrebbe essere scosso da un grande evento-rischio: il ritorno sul mercato dell’Iran con la conclusione delle sanzioni internazionali, che avevano costretto il Paese a congelare la commercializzazione del petrolio.

Ad aggiungersi al contesto fortemente ribassista vi è il conflitto rinnovato tra l’Iran stesso e l’Arabia Saudita, che invece di sostenere i prezzi del petrolio, ha dimostrato una volta per tutte quanto neanche il timore di una guerra nell’area a più alta densità di impianti petroliferi riesca a far aumentare la quotazione dell’oro nero.

4) Cina: riforme necessarie per evitare il crack

Le riforme interne in Cina - e il relativo impatto sui mercati - sono un altro fattore chiave da monitorare nel 2016.
Se la Cina riuscirà a ribilanciare in modo graduale l’economia passando da un’organizzazione orientata all’investimento ad un’organizzazione orientata ai consumi, questo potrebbe aprire la strada ad una crescita economica più sostenibile e ad un nuovo ottimismo sul settore industriale.

Il governo cinese ha ribadito più volte che il suo obiettivo è quello di portare avanti le riforme per sostenere l’economia e continuare la trasformazione verso un’economia di mercato funzionante.

Il rischio più grande proveniente dalla Cina è che queste riforme possano essere ostacolate da gruppi elitari con interessi specifici, tra cui le società statali e i centri di potere più conservatori. Per l’economia globale, è fondamentale monitorare ogni segnale circa l’andamento della costruzione delle riforme nel 2016.
Ogni segnale di contrazione del credito renderebbe necessaria una politica monetaria più espansiva da parte della People’s Bank of China, PBOC.

In un simile scenario, lo yuan cinese si indebolirebbe ancora, il che implicherebbe un deprezzamento generalizzato in tutta l’Asia, causando la continuazione del crollo dei prezzi delle materie prime, che - con un effetto a catena - avrebbe effetti ribassisti sull’inflazione del Paese.

5) Mercati Emergenti: è crisi del debito in dollari

È ben noto come la Cina influenzi il resto dei mercati emergenti. La crescita in Asia, America Latina e Africa è stata sostenuta in passato dalla domanda crescente di ferro, rame e petrolio proveniente dalla Cina. Se la Cina riuscirà a risolvere le problematiche interne nel 2016 potrebbe contribuire positivamente a far rinascere l’ottimismo sui Paesi emergenti.

Ma le economie emergenti continueranno ad essere sotto pressione nel 2016 a causa del rafforzamento del dollaro e il ciclo di normalizzazione della Federal Reserve.
Ma perché i tassi di interesse degli Stati Uniti incidono così tanto sui Paesi emergenti?
Il primo motivo ha a che fare con l’inversione della direzione dei flussi di capitali. Alcuni mercati emergenti sono fortemente dipendenti dalle entrate di capitali stranieri per finanziare i deficit di bilancio.

Il FMI ha calcolato che tra il 2009 e il 2013 i mercati emergenti hanno ricevuto circa 4.5 mila miliardi di dollari in flussi in entrata di capitali, pari a circa la metà di tutti i flussi di capitale a livello mondiale nello stesso periodo. Se il rendimento degli investimenti negli Stati Uniti aumenta, l’allontanamento dei flussi di capitale dai mercati emergenti potrebbe aumentare aggravando i bilanci dei Paesi colpiti.
Il fenomeno è in atto già da tempo, prima ancora del rialzo dei tassi Fed di dicembre.

Secondo fattore ad alto impatto sulle economie emergenti e proveniente dagli Stati Uniti sono i debiti denominati in dollari.
I governi dei mercati emergenti, le imprese e le banche hanno approfittato dei finanziamenti a basso costo in dollari per iniettare nuova liquidità nella propria economia.
Il problema è molto grave perché la svalutazione della moneta locale causata da un’inversione dei flussi di capitale può rendere il debito in dollari più difficile da ripagare. Inoltre, le società e le banche che hanno preso in prestito dollari USA potrebbero trovarsi ad affrontare altri problemi se i profitti delle società non rispetteranno le aspettative.

6) Rischio Brexit: Regno Unito fuori dall’UE nel 2016?

Un altro fattore chiave nell’economia dell’Eurozona e il suo futuro a livello politico nel 2016 è rappresentato dal referendum nel Regno Unito su una possibile uscita del Paese dall’Unione Europea, un fenomeno denominato dalla stampa internazionale “Brexit”.
I referendum sono tipicamente incerti e gli eventi non certi possono causare forti reazioni a risultato svelato.

Uno dei misteri più grandi del 2016 è: il Regno Unito rimarrà nell’Unione Europea?

Le conseguenze di una Brexit potrebbero essere devastanti.
Sia l’Europa che Regno Unito sarebbero entrambi in una posizione peggiore sul fronte della competizione con Stati Uniti, Cina, Giappone e India. Per il Regno Unito, le conseguenze economiche a lungo termine rischiano di essere preoccupanti. Senza la piena partecipazione all’interno dell’Unione europea, il ruolo di Londra come centro finanziario d’Europa potrebbe essere messo in discussione.

I populisti stanno lavorando per convincere il Paese che sarebbe più conveniente per il Regno Unito uscire dall’Europa, ma è una pericolosa illusione. Il referendum danese ha scatenato un’ondata di turbolenze finanziarie nel 1992 e le implicazioni di una Brexit sarebbero di ben più vasta portata.
Un fattore da tenere a mente è che gli elettori spesso tendono a preferire lo status quo quando l’incertezza è alta.

7) Oro: grande assente tra i beni rifugio nel 2016

In contesti di turbolenze finanziarie, i trader corrono verso la sicurezza data dai beni rifugio. Tuttavia, con la nuova crisi finanziaria in atto sui mercati cinesi, e ad effetto domino sui mercati mondiali, il prezzo dell’oro non sta salendo in qualità di asset sicuro e i trader stanno preferendo altri asset, come lo yen, il dollaro USA e i bund tedeschi.

Anche nel 2016, alcuni motivi di natura macroeconomia non permettono all’oro di essere ancora il bene rifugio per eccellenza.
Il rialzo dei tassi da parte della Federal Reserve, la forza del dollaro USA e il crollo della domanda proveniente dall’Asia - soprattutto dalla Cina - sono fattori che hanno strappato via la sicurezza dal metallo prezioso.

Inoltre, il continuo calo dei prezzi del petrolio e la forza del dollaro USA hanno tagliato i costi di produzione all’oncia di circa 100 dollari, come spiegato da Carlo Alberto De Casa, Chief Analyst di ActivTrades, nell’intervista a Forexinfo.it.

Con il costo di produzione totale che oscilla tra i 900 e i 1.000 dollari l’oncia, l’impatto sul mercato sarà notevole, soprattutto se affiancato alla continuazione del calo della domanda dall’area asiatica.
Nonostante le materie prime proseguiranno con fatica nel 2016, per l’oro il rimbalzo potrebbe non essere poi così lontano.

Sono possibili discese sotto i 1.000 dollari l’oncia, ma sono da considerarsi buone opportunità di acquisto puntando sulla ripresa dei prezzi.

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