Mercati finanziari: i 5 «cigni neri» del 2016

Livio Spadaro

31/12/2015

31/12/2015 - 11:08

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Nel 2016 potrebbero verificarsi degli eventi straordinari che potrebbero mettere in seria difficoltà i mercati finanziari mondiali. Ecco i 5 «cigni neri» del 2016.

Mercati finanziari: i 5 «cigni neri» del 2016

Ci sono molte cose che più o meno si sa che avverranno il prossimo anno. Ad esempio, è nota l’intenzione della Federal Reserve di aumentare gradualmente i tassi di interessi americani come è possibile che la BCE aumenti nuovamente gli sforzi di politica monetaria.

Pochi o nessuno possono prevedere degli eventi (chiamati “cigni neri” dal trader libanese Nassim Taleb) che, se mai si dovessero verificare, potrebbero creare degli shock sui mercati finanziari. I casi elencati di seguito hanno una bassa probabilità di verifica, nel dettaglio si spiegheranno i possibili effetti che ognuno di essi potrebbe causare sui mercati mondiali.

Ecco i 5 «cigni neri» per il 2016:

1) Dimissioni di Mario Draghi

Il presidente della Banca Centrale Europea (BCE) ha fatto e sta facendo del suo meglio per cercare di tirare fuori dalla crisi l’Eurozona. Il programma di Quantitative Easing messo in campo dalla BCE è una misura di politica monetaria senza precedenti nel Vecchio Continente.

Grazie a questi sforzi, Draghi si è guadagnato il rispetto del mercato che ha sempre dato credibilità alle parole del presidente della BCE (credibilità che si è leggermente indebolita dopo il 3 Dicembre). Il mandato da presidente della BCE di Draghi scadrà nel 2019 ma nessuno si può sentire al sicuro nel ricoprire una carica del genere.

Se Matteo Renzi dovesse perdere la carica di presidente del consiglio italiano, Draghi potrebbe essere chiamato in causa per cercare di creare una nuova stabilità politica.

Oppure, Draghi potrebbe stancarsi delle continue lotte interne dell’UE e il posto da direttore generale del Fondo Monetario Internazionale (carica che rimarrà vacante dalla prossima estate) potrebbe attrarre le attenzioni del presidente BCE.

Cosa può succedere se Draghi dovesse lasciare l’attuale carica da presidente della Banca Centrale Europea? I tedeschi quasi certamente potrebbero tornare alla carica per insediare sulla poltrona vuota della BCE qualcuno di loro gradimento, aumentando l’influenza sull’intera UE (un quasi dominio praticamente).

Vista l’avversità alla politica monetaria attualmente vigente nell’Unione Europea, se un tedesco o comunque una personalità gradita al governo teutonico dovesse insediarsi alla carica di presidente della BCE si rischierebbe il ritorno alla recessione dell’Eurozona.

2) L’economia USA non assorbe il rialzo dei tassi

Come è noto, il prossimo anno la Federal Reserve è intenzionata ad aumentare di un quarto di punto percentuale ogni tre mesi il livello dei tassi di interesse americani.

Questo aumento dipende da alcuni target macroeconomici che la Federal Reserve deve raggiungere per fare in modo di aumentare la stretta sull’economia americana.
Cosa può succedere se l’economia USA non dovesse assorbire il rialzo dei tassi e il Dollaro forte?

La Fed potrebbe essere costretta a rimettere in campo un QE, cosa che potrebbe giovare a Wall Street. Tuttavia, un nuovo intervento espansivo della banca centrale USA potrebbe aumentare le preoccupazioni degli investitori sull’economia globale e scatenare un sell-off su tutti i mercati.

3) I fondi di investimento sovrani ritirano gli investimenti

I fondi sovrani di investimento dei Paesi arabi si stima che abbiano in portafoglio circa $4,3 triliardi di assets. La maggior parte dei soldi investiti da questi fondi proviene dall’introito principale dei Paesi arabi: il petrolio.

E’ noto che sul petrolio vi è attualmente una battaglia per la detenzione delle quote di mercato che vede contrapposti i Paesi dell’Opec a Stati Uniti, Canada e Russia.

Questa battaglia sui prezzi del petrolio sta mettendo in difficoltà i Paesi arabi, colpiti dall’enorme perdita di introiti generata dal crollo dei prezzi del greggio. E’ di qualche giorno fa infatti, la notizia che riguarda l’Arabia Saudita. Il Governo del Paese arabo è pronto ad introdurre l’austerity nello Stato e la cosa più semplice da fare, per evitare il taglio di salari e benefits ai cittadini, è ridurre gli investimenti dei fondi sovrani.

Vista la portata degli asset detenuti in portafoglio dai fondi, c’è il forte rischio di un’ondata di vendite sui mercati finanziari.

4) Pace in Siria e Libia

Come detto nei precedenti punti, il prezzo del petrolio quest’anno si è drasticamente ridotto e questo gioca contro la pace nel Paese medio-orientale guidato da Assad.

Cosa potrebbe succedere se Assad dovesse lasciare la guida della Siria? L’Isis potrebbe essere facilmente distrutto grazie all’alleanza tra Russia, governi locali e Paesi occidentali. L’ordine verrebbe finalmente ristabilito, e il Nord dell’Iraq (al momento dilaniato dagli scontri tra Isis e popolazione locale) ricomincerebbe a produrre petrolio.

Stesso discorso vale per la Libia: se l’Isis venisse sradicata anche da lì, con conseguente riunificazione tra le tribù del Paese, si potrebbe assistere ad un ritorno sul mercato petrolifero da parte del Paese nordafricano.

Il risultato è che i prezzi del petrolio, senza un taglio della produzione dell’Opec, potrebbero scendere ben al di sotto dei 20$ a barile.

5) Crisi Grecia e rallentamento Cina

La crisi in Grecia e il rallentamento dell’economia cinese sono eventi che già si sono verificati quest’anno. Un rallentamento dell’economia cinese oltre le aspettative sarebbe già di per sè motivo di grande preoccupazione, vista la grande importanza economica a livello globale del Paese asiatico.

Un rallentamento imprevisto della Cina potrebbe mettere in seria difficoltà le economie emergenti e aumenterebbe l’incertezza sul futuro dell’economia globale. Questo potrebbe scatenare una nuova ondata di panico sui mercati ben peggiore di quella a cui si è assistito mesi fa.

La crisi greca invece potrebbe ripresentarsi viste le enormi difficoltà di Atene ad uscire dalla crisi che attanaglia il Paese. Cosa può succedere se si dovesse ripresentare la crisi greca o peggio ancora di qualche altro Paese dell’Eurozona? E’ una domanda di difficile risposta ma nel caso peggiore si potrebbe assistere alla fine della moneta unica.

Le profonde divergenze politiche tra i Paesi europei mostrate nel salvataggio della Grecia di questa estate potrebbero creare una spaccatura ancora più profonda se il caso si ripresentasse.

Peggio ancora sarebbe il caso in cui un altro Paese europeo, che economicamente pesa più della Grecia nell’Eurozona, andasse in difficoltà. A quel punto si metterebbe a dura prova la sopravvivenza della zona Euro vista anche l’aumentata avversità alle politiche di austerity in diversi Paesi UE e all’incrementato euro-scetticismo tra i cittadini europei.

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