Sui mercati emergenti qualcosa si è inceppato. Dopo anni di crescita spettacolare, molti paesi hanno iniziato a rallentare, a evidenziare un aumento dell’inflazione e a sperimentare crescenti rischi politici. Le tensioni in Turchia delle ultime due settimane sono state come un fulmine a ciel sereno: il paese era stato da poco tempo promosso dalle agenzie di rating a "investment grade", dopo una lunga rincorsa che aveva visto Ankara diventare sempre più appetibile agli occhi degli investitori internazionali grazie a fondamentali economici in salute.
Deutsche Bank ha lanciato un allarme sul paese, sottolineando che le riserve valutarie di Ankara si stanno sempre più assottigliando e che ormai hanno raggiunto un rapporto del 200% sul fabbisogno esterno a 12 mesi. Questo rapporto non dovrebbe essere superiore al 100% per essere sostenibile nel medio periodo. Tra l’altro la borsa di Ankara è in forte calo, dopo il boom del 50% nel 2012, mentre la lira turca e i titoli di stato sono sempre più sotto pressione.
Secondo lo studio effettuato dagli analisti della banca d’affari tedesca, a rischio ci sarebbe anche il Sudafrica che soffre la debolezza delle commodity e le tensioni sociali derivanti dai continui scioperi dei lavoratori nelle miniere. Qui il rapporto relativo alle riverve in valuta è di poco superiore al 100%, ma il rand sudafricano è sceso sui minimi da oltre 4 anni sul dollaro americano.
Ci sono poi anche i promossi. I paesi emergenti più interessanti sono il Messico e la Polonia. Il paese centroamericano ha un disavanzo con l’estero dell’1% del pil (dati 2011), mentre Varsavia più che un paese emergente è un paese di nuova industrializzazione. Su un livello più basso si collocano Indonesia (che ha appena alzato i tassi al 6% per frenare la corsa dell’inflazione) e l’India. Sono più tranquilli, ma non completamente al riparo dalle turbolenze dei mercati, i vari Brasile, Cina, Russia e Corea del Sud.
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