Lavoro: la laurea conta, ma sempre meno

Alessandro Genovesi

17/09/2013

Lavoro: la laurea conta, ma sempre meno

Secondo gli ultimi dati Istat usciti pochi giorni fa, la disoccupazione giovanile in Italia ammonta al 35%. Una percentuale elevatissima, che negli anni della crisi ha iniziato a galoppare e che costituisce il triplo del dato sulla disoccupazione totale registrata nel nostro paese (12%)

Disoccupazione giovanile in aumento

Gli under 30, soprattutto se laureati, sono i più penalizzati sul fronte occupazionale, perché si sono affacciati sul mercato del lavoro proprio nel periodo della recessione, nel quale, citando il Sole 24 Ore, chiudono 42 imprese al giorno.
La percentuale del 35%, già di per sé molto alta, non tiene conto dei cosiddetti “neet”, ovvero quei 2,2 milioni di giovani che non studiano e non lavorano. Ragazzi sfiduciati, che hanno perso la speranza e che non provano più nemmeno a cercare lavoro o mandare in giro i propri curriculum.
Fa specie constatare, tra le altre cose, che quasi 1 neet su 5 (il 18,6% per la precisione) è laureato. E non è questione di pigrizia, se è vero che le indagini più recenti sul fenomeno ci dicono che nella grande maggioranza dei casi i rinunciatari si sono impegnati, senza successo, nella ricerca di un impiego.

Problema formativo

Le difficoltà occupazionali non possono essere ricondotte solamente alla crisi economica, che pure c’è e fa vittime ogni giorno. Le colpe ricadono, inevitabilmente, anche su un sistema formativo non pienamente in linea con le esigenze delle imprese.
A riprova di ciò, va segnalato uno studio dell’Istat secondo il quale il 47% dei giovani che trovano lavoro si adatta a svolgere mansioni che richiedono un livello di istruzione e di formazione inferiore a quello conseguito e certificato dal titolo in loro possesso.
Addirittura, alle volte le assunzioni vengono meno proprio perché i candidati presentano un livello di competenze troppo elevato: si pensi, ad esempio, al titolare poco scolarizzato di una piccola azienda, che ha creato dal nulla la propria attività e il proprio giro di affari. Non è insolito che, per questa tipologia di datori di lavoro, un candidato eccessivamente qualificato possa rappresentare una “minaccia” più che una risorsa.

La laurea ha ancora un valore

Tutto ciò, comunque, non comporta la totale perdita di valore del diploma di laurea. Se andiamo ad analizzare i dati di Almalaurea, riscontriamo un’effettiva difficoltà dei laureati a trovare un posto di lavoro nei primi dodici mesi successivi al conseguimento del titolo accademico (circa il 60% di essi trova lavoro entro il primo anno). Difficoltà che però sostanzialmente evapora nel medio periodo, ovvero nei cinque anni successivi, visto che solo il 6% dei laureati risulta ancora disoccupato.

Stipendi bassi

La laurea mantiene un’incidenza positiva anche in relazione al livello di retribuzione, determinando un aumento in busta paga maggiore rispetto al lavoratore munito solo di un diploma.
In ogni caso la crisi ha decurtato pesantemente le retribuzioni dei lavoratori più istruiti: nel 2007 il primo stipendio di un laureato specialistico ammontava intorno ai 1250 euro; oggi, invece, si attesta poco sopra i 1000.
In relazione allo stipendio di un occupato laureato a cinque anni dal conseguimento del titolo, la media nazionale si aggira intorno ai 1400 euro mensili, nulla di eccezionale se rapportato alle ben più elevate retribuzioni percepite in larga parte dell’Unione europea.

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