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Petrolio: la Russia potrebbe abbandonare l’accordo con l’Opec sulla produzione?
lunedì 20 novembre 2017, di
Il 30 novembre a Vienna si riuniranno i Paesi produttori di petrolio membri dell’Opec con i Paesi che non fanno parte dell’organizzazione, tra cui la Russia. I tagli alla produzione di petrolio hanno portato all’effetto sperato, ovvero a una stabilità del prezzo del greggio con un leggero rialzo. Quale decisione prenderà la Russia in merito a un’eventuale estensione? Perché l’accordo potrebbe non convenire più al Cremlino?
Alla Russia potrebbe convenire uscire dall’accordo
Molti Paesi membri dell’Opec sono ottimisti che i tagli alla produzione di petrolio verranno estesi per altri 9 mesi a partire da marzo 2018, data di scadenza dell’accordo vigente con i Paesi produttori di petrolio, ma non membri dell’Opec.
L’accordo corrente prevede di mantenere il limite massimo di barili di petrolio a 1,8 milioni al giorno, con alcune eccezioni, come Iran, Nigeria e Libia a causa della loro situazione geopolitica.
Chris Weafer, noto analista che ultimamente sta concentrando i suoi studi sulla Russia e sui movimenti macroeconomici del petrolio, ha dichiarato che al Paese di Putin potrebbe non convenire aderire al prolungamento dell’accordo con l’Opec.
Le ragioni si basano principalmente sul prezzo sia del Brent londinese che del greggio americano (WTI), che sono rispettivamente intorno ai 62$ e i 56$.
Un mese fa, a ottobre 2017, il ministro dell’energia russo Alexander Novak aveva confermato la volontà della Russia di accettare un prolungamento dei tagli alla produzione del petrolio, ma Weafer sottolinea come queste dichiarazioni fossero state fatte quando il prezzo del petrolio era più basso del livello corrente. Analizziamo nel dettaglio, però, perché Chris Weafer sostiene che la Russia dovrebbe uscire dall’accordo se il prezzo rimarrà alto.
La necessità di non essere più dipendenti dal petrolio
Chris Weafer sostiene che tenere alto il prezzo del petrolio non consentirebbe l’avvio di un altro tipo di investimenti, ma soprattutto non porterebbe la Russia ad uscire dalla dipendenza dal petrolio, non permettendo così una diversificazione della produzione, che sarebbe positiva per l’economia russa.
Un prezzo del petrolio alto favorirebbe la continuità dell’attuale politica energetica, che però non avrebbe grandi riscontri sul lungo termine, dato che ormai il mondo viaggia verso le rinnovabili e verso la fine dell’indispensabilità del petrolio.
Questo potrebbe portare a un nuovo crollo della domanda, forse di dimensioni simili a quello visto nel 2014, che fece passare in 2 anni il prezzo del WTI da 120$ a 40$, mentre quello del Brent da 135$ a 36$.
Chris Weafer ha inoltre aggiunto che se da una parte il Cremlino appoggiava la produzione dei tagli alla produzione di petrolio negli ultimi anni; dall’altra sosteneva che un rublo più debole avrebbe aiutato l’economia russa. Fatto che avvenne in quanto il tasso di cambio rublo-dollaro si è indebolito.
Per concludere, Chris Weafer crede che Mosca si trovi più a suo agio con un prezzo del greggio intorno ai 50$ anziché ai 60$ e che quindi un’estensione della produzione di petrolio della Russia sino alla fine del 2018 potrebbe essere molto improbabile.